Eccellenze Reverendissime,
Giovani uomini del seminario,
cari confratelli,
stasera ci ritroviamo nella grande famiglia del Seminario,
di cui non fanno parte solo gli alunni e noi educatori, ma certamente – non c’è neanche bisogno di dirlo – i nostri Vescovi, i docenti della Facoltà, e tutti coloro che lavorano e amano per il seminario, permettetemi di salutare stasera coloro che hanno diretto in passato la Biblioteca e che sono con noi a gioire di questo nuovo inizio, e coloro che hanno contribuito ad arricchirla donando ad essa i volumi delle proprie biblioteche personali, fino all’attuale Direttore, il dott. Riccardo d’Avanzo, e dunque ci ritroviamo tutti insieme per questa inaugurazione. Spero, speriamo tutti noi, Eccellenza, che questa giornata che sta trascorrendo in mezzo a noi perché possa essere Lei tra poco a benedire e inaugurare, insieme ai Padri della Conferenza Episcopale, la nostra nuova Biblioteca, intitolandola a San Tommaso d’Aquino, possa permetterci di dire che d’ora in poi anche Lei potrà sentire il Seminario di Molfetta vicino e caro, ed anche familiare, così come noi le assicuriamo la nostra devozione, la nostra preghiera, la nostra vicinanza. Grazie di cuore, per avere accettato il nostro invito, ed avere trovato il tempo di venire qui in Puglia a vivere con noi questa giornata.
Che la biblioteca sia un luogo formativo, quasi un organismo vivente, dinamico, necessario alla formazione è cosa che conosciamo bene tutti.
Che lo studio e la lettura appartengano costitutivamente alla vita umana e alla sua crescita, lo abbiamo sperimentato appunto crescendo.
Di tutte le dimensioni della lettura, dei significati plurali e ricchi dell’atto del leggere, io oggi con voi voglio sottolinearne uno, che mi sembra adatto al fatto che stiamo inaugurando la biblioteca di un seminario, cioè di un luogo di discernimento, di cura della vita interiore. E che lo stiamo facendo nell’anno in cui la traccia formativa ci chiede di volgere la nostra attenzione alla formazione al presbiterato come formazione innanzitutto umana. Ecco, la lettura come atto di umanizzazione.
Mi riferisco al fatto che sempre leggere un testo, soprattutto i grandi testi filosofici, teologici ma anche quelli letterari, ci introducono nel mistero della vita, in noi stessi, e ci portano a dare il nome alle esperienze che viviamo. Leggere ci porta a leggerci, sempre. Scrive Ricoeur: “comprendere significa comprendersi davanti ad un testo. Vale a dire non imporre al testo la propria limitata capacità di capire, bensì esporsi al testo per ricavarne una più ampia dimensione di sé. Contrariamente alla tradizione del cogito, e alla pretesa di conoscere se stesso per intuizione immediata, ci si comprende passando attraverso le grandi testimonianze che l’umanità ha deposto nelle opere di cultura. Se la letteratura non avesse dato articolazione ed espressione linguistica all’amore e all’odio, ai sentimenti epici e a tutto ciò che in genere forma noi stessi, ben poco noi ne sapremmo”.
E’ facile da comprendere quanto dice Ricoeur, se ci è accaduto che ciò che leggevamo ci aiutava a trovare le parole per leggere ciò che avevamo vissuto, sentito, provato. Ma allora la lettura può essere colta come una conversazione con se stessi, e nello stesso tempo un dialogo con un altro. “Leggere è dialogare con gli assenti”, diceva sant’Agostino. La lettura dei buoni libri è come una conversazione con gli spiriti più alti dei secoli passati che ne sono stati gli autori, ed è impegnativo per il lettore, perché si suppone che l’autore abbia lasciato il meglio dei suoi pensieri, il meglio di ciò che ha saputo trar fuori di sé, dalla sua comprensione della vita, della fede. C’è una differenza rispetto ad un dialogo, perché non abbiamo di fronte un volto, una persona, il corpo parlante dell’altro, ma solo un corpo scritturistico, un libro. Ma lì c’è il miracolo che avviene con la lettura: una comunicazione che avviene mentre io sono nella solitudine, mi rimanda a me stesso, e tuttavia la mia solitudine è abitata, c’è una relazione, una comunicazione, una dialogicità. Dal pensiero di un altro mi giunge una comunicazione, eppure io sono solo. E’ l’esperienza di una solitudine abitata, una solitudine luogo di scambio, di confronto, di elaborazione. Accettare la sfida della solitudine, per chi è chiamato a vivere nel celibato, significa anche imparare a gestirla. La lettura è uno dei modi più vitalizzanti, che la rendono più feconda. La lettura di un libro non potrà mai rimpiazzare l’incontro con una persona, con un volto ma, questo sì, può dare profondità a tutti gli incontri che avremo con le persone, acuire la nostra lucidità, darci maggiore profondità per quando incontreremo gli altri.
E’ molto bella l’espressione con cui Proust conclude il suo grande libro sulla ricerca del tempo. Proprio alla fine scrive: “I lettori dei miei scritti non sono secondo me i miei lettori, bensì i lettori di se stessi. Il mio libro è solo una specie di lente di ingrandimento, come quella che potrebbe offrirvi un ottico; il mio libro è lo strumento grazie al quale io posso offrire loro il modo di leggere in se stessi”. Il leggere diventa una pedagogia, una pedagogia per un atteggiamento che riguarda tutta la vita.
Ragazzi, non vi capita mai che, dopo aver letto libri che vi hanno catturato, quando si esce all’aperto, nel luogo consueto, si guarda il paesaggio consueto e quotidiano, è come se si arrivasse davvero da un’altra terra, e c’è un certo senso di estraneità, di distanza, quasi di disagio? La realtà la si vede con gli occhi un po’ diversi, educati dal viaggio che il libro ci ha fatto fare. Certo che c’è una lettura che è evasione, per fuggire la realtà, è un rischio. Ma è anche vero che la lettura può essere sanante, può guarire dal rischio della fiacchezza, della superficialità, della banalità, della ripetizione dei luoghi comuni, dello stantio, delle certezze sempre ripetute senza convinzione, dalla pigrizia dello spirito, da quel tipo di auto-isolamento che può essere mortifero. Sì, in questo senso, la lettura è un atto di carità pastorale, che ci guarisce da quelle stagnazioni in cui si cade perché non c’è un rinnovamento interiore. Il rischio del chiudersi, del fossilizzarsi c’è, e arriva il momento in cui pur di non soffrire ci costruiamo delle corazze, dei calli che non ci facciano sentire troppo dolore. La lettura può essere un prezioso aiuto a tenerci aperti, svegli, a una alterità che è sempre lì a metterci in crisi e che ci obbliga a ripensarci. Si può guarire da quella pigrizia e da quella paura che non ci vuole far entrare in contatto con ciò che in noi è più profondo. La lettura è uno spazio di apertura a una possibile messa in discussione di se stesi, agisce come una incitazione che non può sostituire la nostra attività personale, ma la suscita, la mette in moto, ci ridà soggettività. Ci può aiutare a darci in mano noi stessi. Calvino diceva che: “leggere vuol dire spogliarsi di ogni intenzione e di ogni partito preso, per essere pronti a cogliere una voce che si fa sentire quando meno la si aspetta, che viene non si sa da dove, da qualche parte, al di là del libro, al di là dell’autore, al di là delle convenzioni della scrittura, dal non detto, da quello che il mondo non ha ancora detto di sé e non ha le parole per dire”. Ecco, anche la lettura ci può allenare a sentire la voce di Dio in noi. La lettura come apertura può davvero iniziarci alla vita spirituale.
Nella prefazione a Shakespeare ha scritto Samuel Johnson: “Ecco dunque il pregio di Shakespeare: il suo teatro è lo specchio della vita; chi ha smarrito la propria immaginazione seguendo i fantasmi che gli altri scrittori gli hanno parato dinanzi può guarire dalle proprie estasi deliranti leggendo i sentimenti umani in un linguaggio umano, mediante scene dalle quali un eremita potrebbe giudicare le transazioni del mondo e un confessore prevedere l’andamento delle passioni”. Leggere i sentimenti umani in un linguaggio umano. E’ sapere leggere con umanità: è la grande modalità, il grande frutto della lettura, essere più umanizzati.
Un’ultima considerazione: c’è una bella poesia di Rilke intitolata “Il lettore”. Quale è il premio del lettore? Nella tradizione monastica il leggere inizia un cammino che avrà fine nel Regno di Dio, è una attività che si pone e ci pone già in una dimensione escatologica:
“A volte ho sognato che nel giorno del giudizio, quando i grandi condottieri, i grandi avvocati e statisti, si faranno avanti per ricevere le loro ricompense, le corone, gli allori, i nomi indelebilmente incisi su marmi imperituri, l’Onnipotente si volgerà a Pietro, e gli dirà, nel vedere arrivare noi coi nostri libri sotto il braccio: Vedi, questi non hanno bisogno di ricompensa, qui non abbiamo nulla da offrirgli, hanno amato leggere”.
Hanno amato leggere. Questa inaugurazione segni in tutti noi, giovani uomini, un rinnovato gesto di coraggio, un ritorno alla lettura, alla scelta di dedicare parte del nostro tempo a stare in camera, da soli, o nella nuova e bella sala di lettura della nostra Biblioteca.
La bellezza, la comodità e la dignità della nuova sede favoriscano una crescita interiore in ciascuno di noi, altrimenti saranno vane. E noi non vogliamo rendere vano il lavoro straordinario che hanno compiuto tutti coloro che vi hanno lavorato, e che ringraziamo tutti insieme di cuore, don Angelo Mazzone, il nostro eccezionale economo, che ha seguito da vicino i lavori, le ditte che hanno compiuto l’opera progettata e diretta dall’architetto Antonio Grasso – salutiamo e ringraziamo anche lui – e, soprattutto, permettetemelo, da colui che ha fortemente voluto la nuova sede della biblioteca, per sottolinearne la centralità nella vita del seminario e nella proposta formativa, don Luigi Renna, che dobbiamo ringraziare tutti anche per il dono dell’immagine di San Tommaso posta all’entrata della Biblioteca. Non so se ci permetti di dire, caro don Luigi, che la nuova biblioteca è il sigillo del tuo ministero di Rettore a favore del nostro Seminario Regionale. Grazie. Vorrei ora pregarti di venire per rivolgerci la tua parola.
Eccellenza reverendissima,
già in aula magna ci siamo permessi di esprimerLe l’auspicio di esserle diventati più familiari, dopo questa giornata trascorsa insieme. Ora viviamo insieme questo momento che, pur non essendo il motivo diretto della sua presenza oggi qui tra noi, ne è però il culmine: la celebrazione dell’Eucaristia, sotto la sua Presidenza.
E mentre celebriamo insieme vogliamo risentire le parole con cui San Tommaso, a cui abbiamo intitolato la nostra Biblioteca, spiega al suo amico e segretario Reginaldo che gliene chiedeva ragione il motivo per cui negli ultimi mesi avesse deciso di non scrivere più, di interrompere la stesura della sua Summa.
“Raynalde, non possum… non possum, quia omnia quae scripsi, videntur mihi palehae, respectu earum quae vidi et revelata mihi sunt”.
San Tommaso si riferisce ad un dono mistico ricevuto nel dicembre del 1273, pochi mesi prima di morire, a Napoli, durante la celebrazione dell’Eucaristia, proprio come stiamo facendo ora noi insieme a Lei. Lo splendore delle realtà contemplate gli mostra tutta la provvisorietà del suo pur straordinario impegno intellettuale. Tommaso non scrive più, perché sono tanto grandi le realtà che gli sono state rivelate nell’Eucaristia, che non sa trovare le parole giuste per dirle.
Questo stesso mistero, nella sua straordinaria ricchezza, adesso ci lega gli uni gli altri, noi e Lei, e stringe i nostri vincoli di carità. Noi vogliamo offrire questa santa messa per Lei, Eccellenza, per dirle grazie di avere accettato il nostro invito e di essere venuto insieme a Mons. Giorgio Chezza che La accompagna e che salutiamo, e per chiedere al Signore ogni bene spirituale per Lei nella sua vita personale e nello svolgimento della sua missione a favore delle Chiese italiane e dell’intera comunità civile del nostro paese, nella quale e per la quale rappresenta la premura del nostro Santo Padre, il Papa Francesco, che La preghiamo di voler salutare da parte nostra, assicurandoGli la devozione e l’affetto, l’obbedienza e l’intercessione di tutta la nostra comunità. Grazie!