Il Montini profeta dell’attuale formazione nei Seminari
di don Gianni Caliandro
rettore
La domanda del Crisostomo su «quale cosa si possa mettere alla pari con quell’arte che ha lo scopo di guidare gli animi e di formare l’intelligenza e l’indole della gioventù» fu il punto di avvio di una lunga e profonda riflessione che il Papa Paolo VI svolse ricevendo in udienza nel 1969 la Commissione che stava mettendo mano alla elaborazione della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, che sarebbe stata pubblicata poi nel gennaio 1970: il primo documento che, nella intelligente premura della Chiesa, avrebbe dato avvio ad un lungo percorso che periodicamente ha portato i nostri Pastori ad indicarci le linee guida per la vita dei Seminari. Allora si trattava di recepire le istanze del Concilio e farle diventare percorsi educativi concreti, e oggi ancora lo scopo è di rimanere fedeli al Concilio e di ascoltare, nell’orizzonte degli insegnamenti conciliari, quanto le generazioni di giovani che si affacciano nei nostri Seminari ci chiedono per ricevere un accompagnamento adeguato.
Quando nel mese di ottobre abbiamo tutti partecipato alla canonizzazione di Paolo VI, al nostro ritorno ho iniziato a leggere ciò che egli ha scritto e detto sui Seminari, imbattendomi in preziose e sempre molto pertinenti riflessioni. Ne sono rimasto fulminato: sembra di ascoltare una persona che oggi riflette sulla formazione, tanta è la lucida attualità delle considerazioni del Papa santo. Si potrebbe quasi fare un parallelo tra i discorsi di Paolo VI e la Ratio che la Santa Sede ci ha donato due anni fa, nel 2016.
«In quest’opera di purificazione, o di preservazione dell’animo dell’adolescente dai pericolosi germogli del peccato e del vizio, e di seminagione e di coltura delle piante salutari, si dovrà fare il debito affidamento sulle buone qualità insite nell’umana natura, affinché tutto l’edificio spirituale poggi anche sulle solide basi delle virtù naturali», scriveva Paolo VI. E «la formazione umana, fondamento di tutta la formazione sacerdotale, promuovendo la crescita integrale della persona, permette di forgiarne la totalità delle dimensioni», ci ricorda la nuova Ratio, in una perfetta coincidenza di prospettive.
Quando poi si tratta di delineare il rapporto tra crescita umana e vita spirituale, Paolo VI dice che «la formazione dell’uomo deve andare di pari passo con quella del cristiano e del futuro sacerdote, affinché le energie naturali siamo purificate e coadiuvate dalla preghiera, dalla grazia dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia frequentemente ricevuti, e dall’influsso delle virtù soprannaturali, e queste trovino nelle virtù naturali un presidio ed insieme un aiuto nel loro funzionamento». E l’ultima Ratio riporta il discorso alle stesse esigenze di equilibrio: «all’origine della vocazione sacerdotale c’è un dono di grazia divina, concretizzato poi nell’ordinazione sacramentale. Tale dono si esprime nel tempo per mediazione della Chiesa, che chiama ed invia in nome di Dio. Correlativamente, la risposta personale si sviluppa in un processo, che inizia con la consapevolezza del dono ricevuto e matura gradualmente, con l’aiuto della spiritualità sacerdotale, fino a configurarsi come una forma stabile di vita».
Il fondamento del cammino è dunque la maturità umana; l’equilibrio necessario tra dimensione umana e vita spirituale nasce dal primato della grazia e del dono ricevuto, che, radicata in questa umanità, è capace di farla crescere e fiorire come le sole forze umane non possono fare. E si potrebbe continuare ancora, cogliendo una inaspettata corrispondenza tra le indicazioni offerte da Montini quasi cinquant’anni fa mentre si stava scrivendo la prima Ratio dopo il Concilio, e l’ultimo documento che ci guida oggi. Un ultimo esempio: il primato della carità pastorale. Ciò che veniva detto nel 1963: «egli [il seminarista] imparerà a dare ai suoi studi una maggiore unità ed un più efficace orientamento pastorale, ben persuaso che tutto in lui deve avere come ultimo scopo l’avvento del Regno di Cristo e di Dio», sembra trovare la sua eco perfetta nelle raccomandazioni di oggi: «Poiché la finalità del Seminario è quella di preparare i seminaristi a essere pastori a immagine di Cristo, la formazione sacerdotale deve risultare permeata da uno spirito pastorale, che renda capaci di provare quella stessa compassione, generosità, amore per tutti, specialmente per i poveri, e slancio per la causa del regno, che caratterizzarono il ministero pubblico del Figlio di Dio» (Ratio 119).
Sono passati più o meno cinquant’anni da quando Paolo VI ha offerto quelle indicazioni, e le sue parole risuonano oggi come profetiche. Alcune di esse sarebbero rimaste inascoltate, come accade sempre ai profeti, e per molto tempo sarebbero rimaste sotto la cenere, mai spente però nel loro valore altissimo, pronte a riaccendere consapevolezza e coraggio in altri tempi fino a fiorire in scelte concrete e decise. È il destino dei profeti, il cui valore rifulge dopo che se ne sono andati. Per questo mi permetto di invitare tutti, seminaristi, ex-alunni, amici del Seminario che leggono In dialogo e attraverso le sue pagine camminano con noi, a lodare il Signore per la santità di questo grande Papa, profeta dei nostri tempi. Ed insieme ad avere occhi vigili, capaci di riconoscere chi anche oggi svolge tra noi un ministero profetico, chi pronuncia oggi parole che come quelle di Paolo VI sono braci incandescenti, portatrici di un fuoco che resisterà ancora a lungo, fino a farci divampare tutti di amore evangelico. Sempre Dio dona alla sua Chiesa profeti che parlano in suo nome.