Venticinque anni di «in-formazione» ispirandosi al «Papa giornalista»
di don Gianni Caliandro [rettore]
Dedichiamo con gratitudine questo numero di In dialogo alla memoria di tutti coloro che hanno contribuito a crearne le premesse, a dargli inizio e a riempire progressivamente di qualità e di profondità il nostro giornale, che venticinque anni fa usciva nel suo primo numero stampato, dopo i prodromi di un ciclostilato che ne ha fatto da fucina preparatoria.
In quel primo numero, come vi racconteremo, si sono come raccolti tutti i fogli, le pubblicazioni, le comunicazioni dei decenni precedenti, sin dall’inizio del Seminario. Sì: perché, mentre la vita scorre, sempre si sente il bisogno di raccontarla, per farne dono anche ad altri. È sempre stato così, lo è anche oggi per l’attuale redazione: scriviamo per condividere un po’ della nostra vita, per gioirne insieme a voi, perché la vita e il suo racconto sono un unico grande mistero.
Il nome scelto per il nostro giornale – In dialogo – non può non risuonare in maniera sorprendentemente significativa per il fatto che festeggiamo questo venticinquesimo nell’anno formativo aperto sotto la luce della santità di Papa Paolo VI – come già vi abbiamo raccontato nel numero dello scorso autunno.
Sappiamo tutti come egli sia stato spesso definito il «Papa del dialogo», a partire dalla pubblicazione della sua prima Enciclica, con cui presentò al mondo l’ispirazione del suo pontificato: Ecclesiam suam. Il giorno prima della promulgazione ufficiale ne diede notizia in un’udienza generale, a Castel Gandolfo. Era il 5 agosto 1964: «Che cosa diciamo finalmente in questa Enciclica? Diciamo quello che noi pensiamo debba fare oggi la Chiesa per essere fedele alla sua vocazione e per essere idonea alla sua missione […] la terza via è apostolica; e l’abbiamo designata con il termine, oggi in voga: il Dialogo; riguarda cioè questa via il modo, l’arte, lo stile che la Chiesa deve infondere nella sua attività ministeriale nel concetto dissonante, volubile, complesso del mondo contemporaneo». Celebriamo questo «giubileo» del nostro giornale in un momento nel quale le parole con cui Paolo VI descriveva il mondo contemporaneo sembrano dette ieri. E riteniamo preziosa la sua indicazione di uno stile ecclesiale fatto di dialogo, che in questo nostro contesto «dissonante, volubile, complesso» può far risplendere ancora la bellezza della Chiesa e del suo annuncio. Il dialogo come stile ecclesiale: ecco che cosa portiamo nello stesso nostro nome.
Ma un altro motivo ci fa legare la celebrazione del nostro giornale molfettese a san Paolo VI: egli è stato – in un certo senso – il «Papa giornalista». Nel 1968 aveva voluto far nascere il quotidiano Avvenire, ma la sua attenzione e il suo amore per i giornali veniva da lontano. Figlio di Giorgio, che a Brescia per trent’anni aveva scritto su Il cittadino di Brescia, Giovan Battista, appena ventenne, insieme ad Andrea Trebeschi, amico fraterno dei tempi del collegio, fondava a Brescia un giornale, La fionda, «che voleva esprimere la voce dello spirito nuovo ai fratelli della scuola» – come lo stesso giovane Montini scriverà a Papa Pio XI per raccontargli il senso di questa scelta. Appoggiare i giovani dell’Azione Cattolica, far conoscere progetti nazionali a tutti, portare una parola viva agli studenti per contribuire a formarne le coscienze: questi erano i motivi che mentre infuriava ancora la guerra portarono quei ragazzi a scegliere di fondare il loro giornale. Questi intenti hanno ancora qualcosa da dire a noi e a questa piccola pubblicazione che due volte l’anno vi consegniamo (con la speranza che attraverso di essa possiamo sentirci più vicini, e rendervi tutti più partecipi di ciò che viviamo in Seminario)? Noi speriamo di sì: perché con queste pagine vogliamo dirvi che ci sentiamo tutti parte di un’unica grande famiglia, che don Tonino Bello chiamerebbe «Made in Molfetta», in cui possiamo sostenerci reciprocamente e tornare insieme alle motivazioni che sorreggono la nostra vita e il nostro ministero, proprio come facevano quei ventenni bresciani che nelle difficoltà della guerra sentirono l’esigenza di dare una mano agli studenti, facendo arrivare loro una parola di fede e di incoraggiamento.
Da Papa, molti anni dopo l’avventura giovanile de La Fionda, definirà la professione di giornalista come una «splendida e coraggiosa missione al servizio della verità, della democrazia, del progresso, del bene pubblico, in una parola». Noi rileggiamo questi venticinque anni del nostro giornale – e ci incamminiamo verso il futuro – con lo stesso auspicio: quello che questa piccola esperienza, espressa in alcune decine di pagine posate sulla scrivania di ogni parrocchia e divulgate in ogni comunità delle diocesi pugliesi, possa essere uno strumento di bene, possa rinsaldare la nostra fraternità, possa confermarci nella bellezza della nostra vocazione.
Buon anniversario, caro In dialogo, e buon futuro!