Cari ragazzi,
Come un ritornello, abbiamo sentito molte volte ripetere la frase: “Il Seminario non è un luogo ma un tempo”. Ebbene, come ogni tempo, anche quello del Seminario è terminato per noi, giovani uomini che l’anno scorso hanno vissuto l’esperienza di Sesto Anno.
Un’esperienza che ci ha visti, come abbiamo detto nel nostro saluto alla comunità, “strappati” da un percorso formativo e dalla comunità stessa. Eppure, siamo consapevoli, oggi più che mai, che il nostro saluto è in questo tempo di pandemia, in questo periodo storico, in questa situazione che ci vede tutti, come ricordava papa Francesco, “sulla stessa barca”.
Con questa consapevolezza di aver vissuto dentro una comunità che ci ha allenati alla vita, all’umanità e all’essere presbiteri, con la coscienza di abitare un territorio nella Chiesa e per la Chiesa, abbiamo ringraziato il Signore della vita per questi anni, per tutti i volti incontrati, e le esperienze vissute.
Oggi noi lasciamo un tempo che è quello del Seminario, ma ritroviamo un luogo che ha forgiato il nostro Made in Molfetta, una casa che ci spinge verso il mondo.
I fratelli del VI anno bis
Immaginare questa sera di essere a qualche mese fa, immaginare di essere nel mese di maggio e in particolare nei secondi Vespri della Solennità della Regina Apuliæ, ci costa fatica. Costa a noi riaprire una ferita, costa a noi il tornare come sale su una ferita ancora aperta. È stato per noi quel non essere qui con tutta la comunità come essere strappati, senza alcun tipo di conforto, dalle braccia di una persona cara. Perciò ci abbiamo tenuto ad essere presenti qui questa sera. Vuole essere un modo per congedarci da questa parte importante del nostro tempo con la giusta importanza che merita.
E allora tutti insieme facciamolo un salto indietro. Immaginiamo davvero questo come l’altare della Cappella Maggiore vestito a festa. Il clima è quello dolce e triste insieme per l’inizio e la fine di alcuni tratti di storie. Dolce e triste perché alcuni sguardi d’ora in poi li incroceremo con più rarità.
E allora caro don Gianni, cari padri spirituali ed educatori di questa bella comunità, permettete a noi ex alunni di sesto anno (bis) non tanto di rivolgere il nostro saluto al Seminario, quanto piuttosto compiere una sorta di atto di affidamento. Atto di affidamento, sì!
Amici cari, cari fratelli minori, lungi da noi l’idea di darvi consigli, dirvi quanto è bello il seminario o quanto sia coinvolgente il ministero che vi aspetta. Queste cose già le avete sentite mille volte, già le sapete o comunque le scoprirete da soli col tempo.
Al termine di questa celebrazione, con tanta semplicità e con il cuore in mano come tra fratelli, desideriamo rivolgere a voi un augurio. Ma in maniera inconsueta. Vogliamo affidare tutti voi, perché ci state davvero a cuore, vogliamo affidarvi agli occhi!
Un po’ ispirati da quel capitolo 10 di Marco, molto caro vocazionalmente a ciascuno di noi, è agli occhi che affidiamo ciascuno di voi avendo centrale in quest’atto quel «Gesù fissatolo, lo amò». Sappiamo tutti quanto sia carico di amore lo sguardo di Gesù che chiama questo giovane, e con lui ogni altro uomo, e con lui ciascuno di noi.
E allora proprio parlando di sguardi, questa sera vogliamo congedarci dalla Comunità che è stata nostra per sei anni, e che tale rimarrà anche dopo che avremo varcato il cancello di uscita.
Agli occhi. Agli occhi degli educatori e dei padri spirituali, a questi vi affidiamo inizialmente. Cari fratelli, sono essi gli occhi più temuti, quelli ai quali la maggior parte delle volte abbiamo cercato di sfuggire. Ma sono loro a vegliare in maniera paterna sulla formazione e il discernimento. Molto spesso ci possono sembrare minacciosi, attenti a trovare gli errori e i difetti. Cari amici, sarà educativo, sarà motivo di crescita per ciascuno di voi il passaggio dall’idea di occhi giudicanti alla certezza di occhi che accolgono. Agli occhi dei formatori. Non è un modo per dirvi «Attenti a cosa siete», ma è un bel modo per darvi la certezza che illuminati da essi potrete crescere e fiorire, lì dove siete, così come siete.
Agli occhi dei fratelli.
Cari amici, il primo sguardo che incrociamo qui in Seminario è quello dei nostri fratelli, dei compagni di corso o di gruppo, come facciamo fatica a dire noi più anziani! Spesso, nel corso di questi anni, ci siamo detti che ciò che ci rimarrà del Seminario, al di là degli incontri, delle tracce formative, delle istruzioni, saranno proprio le relazioni con chi abbiamo avuto accanto in questo tempo di discernimento. Ci siamo esercitati tanto a volerci bene tra noi, a conoscerci, a perdonarci, a confrontarci, a venirci incontro, a «far fiorire l’umano», a divertirci, a pregare insieme, a passare del tempo disteso e gioviale, a vivere la fraternità. Agli occhi dei fratelli allora. Vi affidiamo ognuno allo sguardo dell’altro. È lì che troverete lo specchio della vostra anima. È lì che imparerete cosa vuol dire farsi prossimo.
Agli occhi più teneri. Agli occhi della Regina Apuliæ. È in quelli che ci perdiamo ogni sera prima di andare a letto. È a quegli occhi che accorriamo nei momenti difficili e nei momenti di gioia. Negli occhi della Regina Apuliæ ancora splendono centinaia di vocazioni sacerdotali. Ai suoi occhi affidiamo voi e noi che appena adesso ci affacciamo al mondo che da sempre abbiamo desiderato di incontrare. È sempre rasserenante rivolgere i nostri occhi verso i suoi, misericordiosi, materni, dolci ma anche severi, che sanno asciugare le nostre lacrime ma anche gioire insieme, ricevendo e custodendo le nostre emozioni e le nostre preghiere.
Questi tre sguardi, questi sei occhi, avrebbero poco senso se non convergessero tutti verso gli occhi del Bel Pastore che ci accoglie, ci aspetta, ci chiama e ci invia.
In questo momento noi ci ritroviamo in questo ultimo verbo: inviare. In maniera forte e decisa siamo inviati dal Buon Pastore nella sua vigna. Agli occhi di Cristo, allora in conclusione, ci e vi affidiamo.
Immaginiamoci ancora tutti questa sera in quel caldo venerdì di maggio che sarebbe stato, se il Covid ce l’avesse concesso. Immaginiamoci tutti sotto gli occhi del Cristo della Cappella Maggiore. Quegli occhi azzurri che lasciano intravedere orizzonti lontani. Quegli occhi che promettono sicurezza e gioia in quanti dolcemente si lasceranno cullare dall’abbraccio del Bel Pastore. Agli occhi del Cristo Bel Pastore ci lasciamo andare per attingere da essi tutto ciò che serve per essere un domani bei pastori: amore e umanità.
Agli occhi dei formatori, agli occhi dei fratelli, agli occhi della Regina Apuliæ, agli occhi di Cristo, affinché tutti insieme possiamo godere già d’ora quaggiù dell’amore sconfinato di un Padre che mai ci abbandona.
Buon anno formativo!
Gli occhi lucidi e colmi di ogni meraviglia dei vostri fratelli più grandi.