Questi aspetti sono riscontrabili e visibili anche nella I lettura. Tuttavia, anche se il testo appare scorrevole ne vengono omessi alcuni versetti. Fin da subito si nota come Abramo accoglie – in silenzio, non rispondendo ma agendo solamente – l’invito fatto da Dio. Fu un accogliere fiducioso la richiesta – per nulla facile – di Dio. Non so cosa pensò in cuor suo Abramo…ma di certo, da quello che si può leggere, ci furono tre giorni di silenzio. Silenzio di Dio e silenzio di Abramo. Ed in questo silenzio prende spazio il turbamento del figlio. «Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”. Rispose: “Eccomi, figlio mio”. Riprese: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?”» (v 7). Teneramente il padre rispose: «Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!» (v 8).
Ogni qual volta che ci si può riscoprire stretti in voleri e richieste di Dio che ci appaiono essere stringenti o addirittura limitanti, quest’ultimo passo biblico ci scuoti dal torpore in cui ci troviamo rammentandoci che l’agire di Dio è sempre per un maggior fine ed una pienezza più grande – anche se non capibile nell’immediato presente. Non so quali siano i progetti di Dio su ciascuno di noi, né so, tantomeno, le prove alle quali ognuno di noi sarà chiamato o sta cercando di rispondere…tuttavia so con certezza che la fiducia in Lui e la tenerezza divina saranno le uniche risposte capaci di trasfigurare le umane fragilità in forza di una maggiore umanizzazione e di una instancabile rinascita in Lui, con Lui, per Lui.
Stefano Manente, IV anno
Arcidiocesi di Taranto
s.manente@gmail.com
Gen 22,1-2.9.10-13.15-18
Sal 115
Rm 8,31-34
Mc 9,2-10
Nella seconda domenica del tempo quaresimale si compie un'altra tappa del nostro cammino verso la Pasqua. Il racconto della Trasfigurazione diventa un invito ad accogliere il mistero pasquale, dando a noi la forza di passare dal venerdì che vede non solo Gesù morire al mondo ma – in Lui – anche ogni cristiano per condividerne finalmente la gloria del mattino dell’ottavo giorno.
Questa trasfigurazione, senza dubbio, mirava soprattutto a rimuovere dall’animo dei discepoli lo scandalo della croce, perché l’umiliazione della Passione, volontariamente accettata, non scuotesse la loro fede, dal momento che era stata rivelata loro la grandezza sublime della dignità nascosta del Cristo (dai «Discorsi» di san Leone Magno).
Il brano, anche se è modellato sulle narrazioni delle apparizioni dell’Antico Testamento (la voce, la nube, lo splendore, i personaggi celesti, …), è incentrato nel contesto proprio del primo annuncio. Morte e risurrezione costituiscono, così, un mistero unitario da non scindere. Questo racconto mira da un lato ad illuminare e a svelare alla Chiesa nascente il mistero della morte e risurrezione del Cristo dall’altro a ricordare ad ognuno di noi che se anche qualcuno portasse in sé i giorni scandalosi del venerdì – che passano attraverso il mare delle proprie fragilità – a queste Dio risponde con tenerezza, trasfigurandole. Questa tenerezza ha un linguaggio proprio che si incarna in gesti e parole: «Questi è il Figlio mio, l'amato: ascoltatelo!» (v 7). La tenerezza divina si manifesta come accoglienza, come dono, come dolcezza nella condivisione. Diventa il risvolto positivo delle nostre fragilità.
Questi aspetti sono riscontrabili e visibili anche nella I lettura. Tuttavia, anche se il testo appare scorrevole ne vengono omessi alcuni versetti. Fin da subito si nota come Abramo accoglie – in silenzio, non rispondendo ma agendo solamente – l’invito fatto da Dio. Fu un accogliere fiducioso la richiesta – per nulla facile – di Dio. Non so cosa pensò in cuor suo Abramo…ma di certo, da quello che si può leggere, ci furono tre giorni di silenzio. Silenzio di Dio e silenzio di Abramo. Ed in questo silenzio prende spazio il turbamento del figlio. «Isacco si rivolse al padre Abramo e disse: “Padre mio!”. Rispose: “Eccomi, figlio mio”. Riprese: “Ecco qui il fuoco e la legna, ma dov'è l'agnello per l'olocausto?”» (v 7). Teneramente il padre rispose: «Dio stesso provvederà l'agnello per l'olocausto, figlio mio!» (v 8).
Ogni qual volta che ci si può riscoprire stretti in voleri e richieste di Dio che ci appaiono essere stringenti o addirittura limitanti, quest’ultimo passo biblico ci scuoti dal torpore in cui ci troviamo rammentandoci che l’agire di Dio è sempre per un maggior fine ed una pienezza più grande – anche se non capibile nell’immediato presente. Non so quali siano i progetti di Dio su ciascuno di noi, né so, tantomeno, le prove alle quali ognuno di noi sarà chiamato o sta cercando di rispondere…tuttavia so con certezza che la fiducia in Lui e la tenerezza divina saranno le uniche risposte capaci di trasfigurare le umane fragilità in forza di una maggiore umanizzazione e di una instancabile rinascita in Lui, con Lui, per Lui.
Stefano Manente, IV anno
Arcidiocesi di Taranto
s.manente@gmail.com
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