Così don Michele Gianola commenta lo studio statistico della CEI sulla presenza numerica, nel nostro Paese, di giovani in discernimento vocazionale nei seminari. Un dato che apre nuove prospettive sia pastorali che formative. Percentuali che se da un lato sconfortano, si registra infatti un calo del 28% nell’ultimo decennio (2009-2019) di seminaristi, dall’altro aprono a riflessioni che mettono in campo tutto l’agire delle comunità ecclesiali.
Il maggior numero di seminaristi (43,3%) ha un'età compresa tra i 26 e i 35 anni. La generazione più giovane (19-25 anni) rappresenta il 42,2% del totale. Un seminarista su dieci (13,6%) ha più di 36 anni. Persiste la tendenza a provenire da famiglie con più figli.
La via più semplice in questi casi è dare una spiegazione meramente sociologica: i figli diminuiscono, la popolazione diminuisce e di conseguenza anche il numero di seminaristi e sacerdoti diminuisce. Ciò, come sottolinea don Michele, è certamente vero…ma in parte, come continua: “Somiglia più al sintomo di una malattia della quale trovare una cura. Chiudersi, difendersi, scansare ogni prova, immunizzarsi contro la vita non sono sicuramente orizzonti nei quali può fiorire la vita – e la vocazione – che ha bisogno di aprirsi, entrare in contatto, affrontare le sfide, correre alcuni rischi. L’Italia è da evangelizzare come è da evangelizzare il cuore di ciascuno, sempre” . In sostanza c’è bisogno di un nuovo approccio con i giovani, di essere in grado di testimoniare la bellezza di una vita vissuta nell’ottica della donazione totale di sé al Bene. La vocazione è un’opera artigianale che richiede cura e dedizione da parte di molti. Non è un discorso che compete al solo luogo del seminario ma ogni vissuto, ogni persona incontrata, ogni luogo abitato, ha in sé una chiamata alla cura della vocazione, della persona. Bisogna far riscoprire la bellezza della relazione con il Signore, la sua Parola, che si concretizza solo nella cura che sappiamo prodigare nella testimonianza di vita.
Per questo e molto altro non possiamo ridurre il tutto a un desolante discorso statistico-sociologico ma questo ci deve aprire il nostro cuore e la nostra vita a riflessioni che ci chiamano in causa con tutto noi stessi. Il Signore continua a passare per le nostre vie, per le nostre città, accanto a ciascuno di noi e ci continua a chiamare. Aiutiamoci ad affinare il nostro ascolto e poterlo così riconoscere e lasciarci affascinare.
Pierpaolo Ingusci
V anno
Diocesi di Nardò-Gallipoli
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