Oggi la Chiesa ci fa celebrare l’Immacolata concezione di Maria nel grado di solennità; questo aspetto non è da sottovalutare perché evidentemente siamo di fronte ad un momento fondamentale della storia della salvezza ed è la stessa Liturgia della Parola che ci fa pensare questo. La prima lettura e il Vangelo, infatti, si illuminano a vicenda aprendo davanti a noi la realtà di un dogma non visto come limite da non superare ma come pozzo da cui attingere acqua sempre fresca. Vorrei soffermarmi su alcuni elementi in comune tra i due testi:
1) la prima lettura si apre con una domanda di Dio all’uomo “Dove sei?”, questa non serve tanto a Dio ma ad Adamo per ricollocarsi nel rapporto con Dio, con se stesso e con gli altri; nel Vangelo, al contrario, Maria è nel mondo e con gli altri e il testo di Luca ce lo presenta in maniera chiara “in una città della Galilea, chiamata Nazaret”. Già questo parallelo ci pone la domanda di come siamo collocare nella nostra vita, in maniera chiara o siamo senza un’identità relazionale precisa?
2) nella prima lettura Adamo, posto di fronte alla responsabilità del fatto, riversa la colpa alla donna che è al suo fianco escludendola non solo dal rapporto tra lui e Dio ma disconoscendo la stessa relazione con Eva; nel Vangelo Maria, di fronte all’annuncio dell’angelo, non solo non esclude ma, addirittura, include nel dono della grazia ricevuta anche Giuseppe. Quel “non conosco uomo” implica non solo un dubbio sulla possibilità dell’evento ma un bisogno di condividere tale responsabilità con un altro. Questo secondo parallelo ci interroga sul nostro modo di vivere le gioie, le difficoltà della vita giornaliera e se siamo capaci di condividerle con gli altri oppure siamo ripiegati su noi stessi esaltandoci o abbattendoci in maniera narcisistica?
3) nella prima lettura la donna commette il peccato di non fidarsi di Dio e persegue una conoscenza possessiva che gli dia sicurezza e potere; nel Vangelo Maria pone inimicizia, spezza il legame tra l’umanità e la realtà fondata sul possesso, non solo fidandosi di Dio pur non avendo alcuna sicurezza umana ma lasciando che Dio prenda “possesso” della sua vita e non volendo piegare Dio ai suoi ragionamenti. Nel nostro rapporto con Dio ci fidiamo di Lui anche quando sembra impossibile per l’uomo oppure vogliamo sempre capire o decidere noi come Dio deve agire nelle nostre vite?
4) Nell’ultimo versetto della prima lettura la donna viene chiamata per la prima volta Eva perchè madre di tutti i viventi (cfr. Gen.3,20), nel Vangelo Maria è chiamata ad essere Madre di Gesù prima e Madre di tutti sotto la croce; Madre di un’umanità nuova di cui lei è immagine. Si potrebbe benissimo dire che Maria è ciò che noi saremo e la seconda lettura tratta dalla lettera agli Efesini di Paolo sembra farci intravedere questo quando afferma che saremo “santi ed immacolati al suo cospetto nella carità” (cfr. Ef 1,5) e, sempre Paolo, ci ricorda che siamo “figli adottivi per opera di Gesù Cristo”; accettando di essere Madre, Maria ha permesso che noi diventassimo figli. Quanto nella nostra vita è importante l’essere figli di Dio? Spesso lo dimentichiamo sentendoci servi, amministratori delegati di Dio, debitori di un Dio che dobbiamo ripagare, poche volte ci sentiamo figli amati e Maria è qui per questo! Ella ci insegna ad essere figli di Dio perchè per prima si è fidata di Dio oltre ogni immaginazione, ha cantato nella sua vita il Magnificat, che ben si collega con il salmo 97 che pregheremo nella liturgia “cantate al Signore un canto nuovo perchè ha compiuto prodigi”. Ha imparato che per essere madre occorre prima di tutto essere figlia di Dio. Per questo dobbiamo rivolgerci a Maria oggi e tutti i giorni: nel darci il Figlio ci ha resi figli ed è nostro modello nel fidarci di Dio; solo in quest’ottica possiamo vedere in Maria la bellezza della sua purezza senza peccato.
Giuseppe Basile
Arcidiocesi di Taranto
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