Commento al Vangelo della Mattina di Pasqua (Gv 20,1-9)
Parlare di Pasqua può risultare controcorrente, sembra contraddire ogni nostra logica ed evidenza, sembra parlare di una storia in cui l’attore è protagonista di un evento ormai concluso, che si è consumato una volta per tutte in un giardino di Gerusalemme e nel mero racconto di chi lo ha trasmesso per così tanto tempo. Ed invece è tutta la nostra vita, tutta la bellezza dell’esistenza di un cristiano: la Pasqua è salvezza e redenzione, è catapultarci fuori dal buio, trasformare la debolezza in forza, il tradimento di Pietro nella corsa sfrenata dopo lo stupore, lo smarrimento in fede, l’uomo in uomo nuovo.
Oltre che controcorrente e contro la nostra logica, parlare di Pasqua deve sembrarci oggi la nostra grande opportunità, il fine e il motore della nostra missione; la contingenza degli ultimi anni ci ha messi con le spalle al muro: ha mostrato tutta la nostra precarietà, ha snudato le nostre paure a lungo occultate dietro il benessere e la nostra illusione di autosufficienza e inattaccabilità. Ma, siccome è vero che noi tutti insieme formiamo il corpo di Cristo, allora non ci è contemporanea solo la croce, ma siamo contemporanei anche e soprattutto alla risurrezione. Cristo infatti è Risorto e continua a risorgere dalle profondità della Chiesa, dal fondo del cuore di ogni uomo e della storia, continuando a seminare germi di speranza, di possibilità e di libertà.
La tomba vuota è il presupposto della fede cristiana che pone come destino dell’uomo non la morte ma la resurrezione: la morte, il dubbio, la ferita, il peccato cessano di essere la meta infallibile e la meta di ogni cammino; la fede nel Dio amante della vita che fa rinascere dalla morte è la pietra angolare della nostra vita cristiana. Questo diventa così l’archetipo dei racconti pasquali e di tutto il percorso con cui giungiamo alla fede: l’incontro personale di Maria col Risorto, poi l’esperienza comunitaria di Pietro e Giovanni ed infine l’allargamento a chi non ha visto ma crederà alla parola dei testimoni. È la storia della Chiesa, la storia della fede dei redenti in Cristo: è il meraviglioso intreccio di vita e testimonianza che anima la nostra presenza nel tempo sospinta dallo Spirito del Risorto. Questo però non è solo un pensiero teologicamente corretto, è vita concretamente vissuta: i discepoli di Gesù credono in Lui non solo perché lo hanno visto Risorto, ma perché hanno sperimentato sulla loro pelle cosa significa per loro che Cristo è Risorto e noi, discepoli dalla seconda ora in poi, crediamo grazie agli occhi e alla vita di Chi lo ha incontrato prima di noi.
Tuttavia troppo spesso ci soffermiamo anche noi come Maria a cercare nel sepolcro vuoto, un luogo di morte peraltro abbandonato. Cerchiamo una prova, cerchiamo qualcosa di concreto: Dio benedica sempre questo nostro anelito e questa nostra apertura. Ma la novità che attendiamo, il desiderio che avvia la nostra ricerca, è già esaudito in anticipo, in perdita e gratuitamente. E tutto passa da un altro segno particolarmente rilevante del Vangelo di questo giorno santo: quella pietra rotolata via. La Pasqua è il giorno di grazia in cui i macigni ci vengono tolti e ci è ridonata una possibilità di luce. Il nostro cammino spesso ci porta a chiuderci in quel sepolcro buio, ma la vera liberazione è compiere il percorso contrario: qualcuno ha già divelto quel masso e ci ha mostrato il percorso da compiere per uscire liberi, per vivere una vita piena di sole. Cristo ci indica la via per passare dall’odio all’amore, dalla paura alla libertà, dalla superficialità all’eternità: è la strada della Pasqua.
Infine, parlare di Pasqua è il nostro reale compito, specie in questi giorni, specie con gli occhi e il cuore rabbuiati dall’orrore che vediamo succedere a poche migliaia di chilometri da qui. Cosa centra la Pasqua con l’attualità che ci parla di guerra? Cosa può fare un cristiano così lontano e così apparentemente impotente? Cosa può fare la fede nel Risorto di fronte a queste contraddizioni? Il primo dono della Pasqua, la prima parola che Gesù rivolgerà ai suoi è proprio “pace”, quella vera, la comunione piena ed intima con Dio nella storia personale e comunitaria: facciamoci contagiare dalla frenesia della mattina di Pasqua in cui tutti corrono, diamo l’occasione alle nostre paure, alle persone che poniamo ai margini alle situazioni che riteniamo perse di respirare di resurrezione. Allora anche il gesto più piccolo, sarà germe di altra resurrezione che, coi tempi e i modi di Dio, porterà frutto a suo tempo anche laddove non ci aspettiamo.
Giuseppe Cassano
IV anno
Commento al Vangelo della Mattina di Pasqua (Gv 20,1-9)
Parlare di Pasqua può risultare controcorrente, sembra contraddire ogni nostra logica ed evidenza, sembra parlare di una storia in cui l’attore è protagonista di un evento ormai concluso, che si è consumato una volta per tutte in un giardino di Gerusalemme e nel mero racconto di chi lo ha trasmesso per così tanto tempo. Ed invece è tutta la nostra vita, tutta la bellezza dell’esistenza di un cristiano: la Pasqua è salvezza e redenzione, è catapultarci fuori dal buio, trasformare la debolezza in forza, il tradimento di Pietro nella corsa sfrenata dopo lo stupore, lo smarrimento in fede, l’uomo in uomo nuovo.
Oltre che controcorrente e contro la nostra logica, parlare di Pasqua deve sembrarci oggi la nostra grande opportunità, il fine e il motore della nostra missione; la contingenza degli ultimi anni ci ha messi con le spalle al muro: ha mostrato tutta la nostra precarietà, ha snudato le nostre paure a lungo occultate dietro il benessere e la nostra illusione di autosufficienza e inattaccabilità. Ma, siccome è vero che noi tutti insieme formiamo il corpo di Cristo, allora non ci è contemporanea solo la croce, ma siamo contemporanei anche e soprattutto alla risurrezione. Cristo infatti è Risorto e continua a risorgere dalle profondità della Chiesa, dal fondo del cuore di ogni uomo e della storia, continuando a seminare germi di speranza, di possibilità e di libertà.
La tomba vuota è il presupposto della fede cristiana che pone come destino dell’uomo non la morte ma la resurrezione: la morte, il dubbio, la ferita, il peccato cessano di essere la meta infallibile e la meta di ogni cammino; la fede nel Dio amante della vita che fa rinascere dalla morte è la pietra angolare della nostra vita cristiana. Questo diventa così l’archetipo dei racconti pasquali e di tutto il percorso con cui giungiamo alla fede: l’incontro personale di Maria col Risorto, poi l’esperienza comunitaria di Pietro e Giovanni ed infine l’allargamento a chi non ha visto ma crederà alla parola dei testimoni. È la storia della Chiesa, la storia della fede dei redenti in Cristo: è il meraviglioso intreccio di vita e testimonianza che anima la nostra presenza nel tempo sospinta dallo Spirito del Risorto. Questo però non è solo un pensiero teologicamente corretto, è vita concretamente vissuta: i discepoli di Gesù credono in Lui non solo perché lo hanno visto Risorto, ma perché hanno sperimentato sulla loro pelle cosa significa per loro che Cristo è Risorto e noi, discepoli dalla seconda ora in poi, crediamo grazie agli occhi e alla vita di Chi lo ha incontrato prima di noi.
Tuttavia troppo spesso ci soffermiamo anche noi come Maria a cercare nel sepolcro vuoto, un luogo di morte peraltro abbandonato. Cerchiamo una prova, cerchiamo qualcosa di concreto: Dio benedica sempre questo nostro anelito e questa nostra apertura. Ma la novità che attendiamo, il desiderio che avvia la nostra ricerca, è già esaudito in anticipo, in perdita e gratuitamente. E tutto passa da un altro segno particolarmente rilevante del Vangelo di questo giorno santo: quella pietra rotolata via. La Pasqua è il giorno di grazia in cui i macigni ci vengono tolti e ci è ridonata una possibilità di luce. Il nostro cammino spesso ci porta a chiuderci in quel sepolcro buio, ma la vera liberazione è compiere il percorso contrario: qualcuno ha già divelto quel masso e ci ha mostrato il percorso da compiere per uscire liberi, per vivere una vita piena di sole. Cristo ci indica la via per passare dall’odio all’amore, dalla paura alla libertà, dalla superficialità all’eternità: è la strada della Pasqua.
Infine, parlare di Pasqua è il nostro reale compito, specie in questi giorni, specie con gli occhi e il cuore rabbuiati dall’orrore che vediamo succedere a poche migliaia di chilometri da qui. Cosa centra la Pasqua con l’attualità che ci parla di guerra? Cosa può fare un cristiano così lontano e così apparentemente impotente? Cosa può fare la fede nel Risorto di fronte a queste contraddizioni? Il primo dono della Pasqua, la prima parola che Gesù rivolgerà ai suoi è proprio “pace”, quella vera, la comunione piena ed intima con Dio nella storia personale e comunitaria: facciamoci contagiare dalla frenesia della mattina di Pasqua in cui tutti corrono, diamo l’occasione alle nostre paure, alle persone che poniamo ai margini alle situazioni che riteniamo perse di respirare di resurrezione. Allora anche il gesto più piccolo, sarà germe di altra resurrezione che, coi tempi e i modi di Dio, porterà frutto a suo tempo anche laddove non ci aspettiamo.
Giuseppe Cassano
IV anno
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