La liturgia di questa II domenica di Pasqua, in cui contempliamo la Divina Misericordia, ci fa gustare lo stupore e la gioia scaturiti dall’incontro dei discepoli con il Risorto e dai primi passi della Chiesa nel continuare la missione di Gesù animata dallo Spirito Santo. Dopo un cammino quaresimale, le Scritture ci invitano a vivere in pienezza un tempo di novità, caratterizzato da quei sentimenti, che ci accompagnerà per cinquanta giorni fino a Pentecoste. Questo è il tempo di gioire e di uscire perché il “vivente” è in mezzo a noi e ci attende, è il tempo per lasciarsi contagiare da queste pagine riscoprendo lo slancio missionario della propria esperienza credente, per andare incontro all’altro e portare la Sua pace. La prima comunità dei discepoli dopo l’incontro con il Risorto e il dono dello Spirito, come raccontato nella prima parte del Vangelo, vive la sua Pasqua, il suo passaggio dalla chiusura all’apertura, dalla tristezza alla gioia, da essere discepoli a essere apostoli. Accogliendo quel mandato di Gesù, scelgono di fare dell’annuncio la loro strada, il loro pane, il senso di tutta una vita, riproducendo grazie alla potenza dello Spirito Santo gli stessi segni e prodigi, che li avevano cambiati, per portare a tutti il perdono e la salvezza di Dio. Quanto sarebbe bello ricordarci che Lui è vivo è ci vuole vivi, ci perdona e vuole che anche noi perdoniamo nella stessa misura! E così cresceva la comunità, fatta di ultimi, di salvati, chiamati alla vita da coloro che in primis, come Pietro, avevano sperimentato la rivoluzione del perdono. Quel mandato di Gesù ai discepoli però chiama ad una risposta con tutta la libertà, che come ci è raccontato nell’episodio di Tommaso nella seconda parte del brano evangelico, non è esente dal dubbio, dall’incertezza e dal non riuscire a comprendere ciò che è accaduto. Ma proprio perché la chiamata di Dio è un mistero, chiede che tutto di noi, l’intelletto, il cuore, i sensi, facciano il salto della fede. Sicuramente Tommaso ci ricorda che la fede nasce da un incontro, con chi ci ha parlato del Risorto e ha condiviso una esperienza di bellezza e di gioia, che chiede sia nutrita di incontro in incontro, in un cammino di sequela che in tutta la vita non può che renderci sempre più fratelli di chi ci è accanto. Quella richiesta di mettere il dito nei segni della passione del Cristo, così insolita quanto autenticamente umana, ci fa capire che il credere non prescinde mai dal toccare la carne sofferente del Crocifisso-Risorto, fede e carità non possono essere mai disgiunte. Una esperienza credente allora può essere più ricca e più vera, non solo per Grazia, chiedendo a Dio di aumentare la propria fede, ma anche rifuggendo dalla tentazione di farne una ideologia o una proposta elitaria. Infatti quel toccare, quel farsi prossimo verso tutti coloro che danno un volto alle opere di misericordia, da una parte diventa opportunità per prendere consapevolezza di come il Signore nella debolezza manifesti la sua potenza, dall’altra parte diventa occasione per prendersi cura di chi ci è vicino, vivendo con responsabilità la chiamata alla pace, alla fraternità, insomma ad edificare il Regno della misericordia di Dio. Come ha detto Papa Francesco nell’intervista esclusiva al programma “Che tempo che fa” di Fabio Fazio: «Toccare, farsi carico dell’altro. Ma se noi guardiamo senza toccare con le nostre mani cos’è il dolore della gente, non potremo mai trovare una soluzione a questo». Ecco che questo tempo pasquale può aprirci alla possibilità di riscoprire la bellezza di contaminarci con gli altri, uscendo dalla nostra comoda indifferenza per toccare e lasciarci toccare dalla vita di chi ci è accanto, assumendo quella postura che Gesù ha avuto in tutto il suo ministero, in tutto il suo abbassamento, per gli altri e con gli altri, per essere una cosa sola.
Marino Colamonico
V anno
La liturgia di questa II domenica di Pasqua, in cui contempliamo la Divina Misericordia, ci fa gustare lo stupore e la gioia scaturiti dall’incontro dei discepoli con il Risorto e dai primi passi della Chiesa nel continuare la missione di Gesù animata dallo Spirito Santo. Dopo un cammino quaresimale, le Scritture ci invitano a vivere in pienezza un tempo di novità, caratterizzato da quei sentimenti, che ci accompagnerà per cinquanta giorni fino a Pentecoste. Questo è il tempo di gioire e di uscire perché il “vivente” è in mezzo a noi e ci attende, è il tempo per lasciarsi contagiare da queste pagine riscoprendo lo slancio missionario della propria esperienza credente, per andare incontro all’altro e portare la Sua pace. La prima comunità dei discepoli dopo l’incontro con il Risorto e il dono dello Spirito, come raccontato nella prima parte del Vangelo, vive la sua Pasqua, il suo passaggio dalla chiusura all’apertura, dalla tristezza alla gioia, da essere discepoli a essere apostoli. Accogliendo quel mandato di Gesù, scelgono di fare dell’annuncio la loro strada, il loro pane, il senso di tutta una vita, riproducendo grazie alla potenza dello Spirito Santo gli stessi segni e prodigi, che li avevano cambiati, per portare a tutti il perdono e la salvezza di Dio. Quanto sarebbe bello ricordarci che Lui è vivo è ci vuole vivi, ci perdona e vuole che anche noi perdoniamo nella stessa misura! E così cresceva la comunità, fatta di ultimi, di salvati, chiamati alla vita da coloro che in primis, come Pietro, avevano sperimentato la rivoluzione del perdono. Quel mandato di Gesù ai discepoli però chiama ad una risposta con tutta la libertà, che come ci è raccontato nell’episodio di Tommaso nella seconda parte del brano evangelico, non è esente dal dubbio, dall’incertezza e dal non riuscire a comprendere ciò che è accaduto. Ma proprio perché la chiamata di Dio è un mistero, chiede che tutto di noi, l’intelletto, il cuore, i sensi, facciano il salto della fede. Sicuramente Tommaso ci ricorda che la fede nasce da un incontro, con chi ci ha parlato del Risorto e ha condiviso una esperienza di bellezza e di gioia, che chiede sia nutrita di incontro in incontro, in un cammino di sequela che in tutta la vita non può che renderci sempre più fratelli di chi ci è accanto. Quella richiesta di mettere il dito nei segni della passione del Cristo, così insolita quanto autenticamente umana, ci fa capire che il credere non prescinde mai dal toccare la carne sofferente del Crocifisso-Risorto, fede e carità non possono essere mai disgiunte. Una esperienza credente allora può essere più ricca e più vera, non solo per Grazia, chiedendo a Dio di aumentare la propria fede, ma anche rifuggendo dalla tentazione di farne una ideologia o una proposta elitaria. Infatti quel toccare, quel farsi prossimo verso tutti coloro che danno un volto alle opere di misericordia, da una parte diventa opportunità per prendere consapevolezza di come il Signore nella debolezza manifesti la sua potenza, dall’altra parte diventa occasione per prendersi cura di chi ci è vicino, vivendo con responsabilità la chiamata alla pace, alla fraternità, insomma ad edificare il Regno della misericordia di Dio. Come ha detto Papa Francesco nell’intervista esclusiva al programma “Che tempo che fa” di Fabio Fazio: «Toccare, farsi carico dell’altro. Ma se noi guardiamo senza toccare con le nostre mani cos’è il dolore della gente, non potremo mai trovare una soluzione a questo». Ecco che questo tempo pasquale può aprirci alla possibilità di riscoprire la bellezza di contaminarci con gli altri, uscendo dalla nostra comoda indifferenza per toccare e lasciarci toccare dalla vita di chi ci è accanto, assumendo quella postura che Gesù ha avuto in tutto il suo ministero, in tutto il suo abbassamento, per gli altri e con gli altri, per essere una cosa sola.
Marino Colamonico
V anno
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