Le “nude domande” del lavoro
Una lettura prospettica dell’indagine Istat del 31 marzo sul mercato del lavoro
Parafrasando il titolo di un celebre libro di Ermes Ronchi, “Le nude domande del Vangelo”, l’inizio di questo conflitto in Ucraina con i suoi imprevedibili scenari politici ed economici pone davanti a noi una serie di “nude domande” sul mercato del lavoro, nude non solo perché prive di qualsiasi orpello di abbellimento politically correct, ma anche per essere disarmanti per chiunque voglia provare a trovare delle risposte. È innegabile provare un minimo di preoccupazione per le conseguenze sull’economia italiana e sul destino di tanti lavoratori, eccetto il caso del settore dell’industria bellica ovviamente, dopo che il vento sembrava stesse soffiando a nostro favore dandoci l’illusione di poterci lasciare alle spalle le cupe nubi dell’emergenza sanitaria. Infatti, come rilevato dall’indagine Istat, nel 2021 si era raggiunto un incremento del Pil del 6,6% rispetto all’anno precedente, accompagnato da una diminuzione del debito pubblico da 155,3% a 150,4% del Pil e da un miglioramento del deficit delle amministrazioni pubbliche rispetto al Pil, poiché sceso del 2,4 %. Si trattava di un quadro tutto sommato positivo lasciando intravedere un orientamento di ripresa, che era possibile intuire anche dall’analisi del mercato del lavoro a livello nazionale. Infatti rispetto al 2020, che si era caratterizzato per un calo degli occupati del 3,1% rispetto al 2019, a febbraio 2022 la ricerca Istat ha registrato un incremento degli occupati del 3,5%, ben 777 mila unità in più in un anno. Un dato molto positivo accompagnato dalle diminuzioni nello stesso periodo sia del numero di persone in cerca di lavoro, di circa il 15%, 375 mila unità in meno, sia dell’ammontare degli inattivi tra i quindici e i sessantaquattro anni, di circa il 5,3 %, pari a 723 mila unità in meno. Questo scenario descritto rischia ora di mutare, come già attesta l’incremento dei prezzi delle materie prime che hanno allarmato l’opinione pubblica e avviato le prime negoziazioni tra sindacati e lavoratori, tanto da costringere il governo Draghi a correre ai ripari. Se questa guerra, di cui non si vede ad oggi una fine, rischia di danneggiare le imprese la cui produzione dipende fortemente dall’andamento del valore di mercato delle fonti energetiche, il danno più immediato è rappresentato da una possibile contrazione dei consumi a causa della crescita dell’inflazione, che al rincaro bollette già in atto, comporterà un aumento dei prezzi dei beni a danno di tantissimi consumatori. Ecco che l’accorato appello per la pace, si fa grido per tanti lavoratori che potrebbero vedere cambiare le loro condizioni di impiego e di vita, subendo indirettamente le conseguenze di questa assurda follia. Sorge allora un’ultima domanda: «ma davvero ci saranno vincitori e vinti?».
Marino Colamonico
V anno