Pandemia e Scuola: un acceleratore di processi o un’opportunità?
Il livello di salute di uno stato e della società si può saggiare su molti elementi: economia, stabilità politica, capacità di investimento, …; ma alcuni caratteri culturali sono più rivelativi di altri, perché mostrano quanto la società sappia aver cura del passato e protendersi al futuro: la tutela delle risorse, dei deboli, delle possibilità per la crescita. Mi riferisco innanzitutto alla categoria dei malati da curare, dei giovani da formare, delle strutture da consolidare per dar maggior qualità alla vita ed eticità alla società.
Le situazioni-limite poi riescono a smascherare con facilità le condizioni latenti in cui versa la società, ciò che veramente sta al cuore delle scelte e delle prospettive su cui si intende scommettere; stiamo uscendo da un periodo storico di cui i nostri posteri parleranno diffusamente e che i libri di scuola continueranno a leggere e interpretare. Nei secoli la natura ha mostrato all’uomo più volte la potenza della sua presenza e l’incontrollabilità delle sue forze: calamità ed epidemie hanno snudato a più riprese la fragilità insita della natura umana. Ma, via via che l’uomo ha abitato il mondo e intessuto relazioni in modo sempre più trasversale e totalizzante, la portata di questi è divenuta sempre più planetaria. Ecco che quindi l’epidemia da coronavirus scoppiata a cavallo fra 2019 e 2020 ci ha presi tutti sottogamba mettendoci con le spalle al muro su più fronti, innanzitutto la salute e la scuola, due degli ambiti più delicati e giustamente sotto la lente d’osservazione dei governi e delle opposizioni di turno. Al di là delle valutazioni politiche e delle scelte possibili, ci interessa analizzare quanto socialmente, relazionalmente e spiritualmente la pandemia ha interessato (intaccato?) il mondo della scuola e dei giovani di oggi.
È normale che un evento di tale portata ha colto alla sprovvista tutti e tutto, ma soprattutto nell’educazione si sono palesate immediatamente le falle e le occasioni. È inutile nasconderlo: le fatiche della scuola, dell’insegnamento e dell’apprendimento erano tempo sotto gli occhi di tutti, per cui la situazione contestuale ci ha solo facilitato il compito di analizzare con più trasparenza e onestà quest’ambito. La crisi delle figure educative da un lato (in primis delle “figure paterne”: padri, sacerdoti, maestri, …) e degli educandi dall’altro è cosa ormai risaputa, specie nell’ambito scolastico. Non si dimentichi poi la fatica nel reciproco sostegno del patto educativo tra famiglie e docenti sottoscritto ufficialmente all’inizio di ogni anno scolastico, sempre più spesso come mero atto formale (si ricordino le numerose aggressioni ai docenti, non solo verbali, nelle cronache già prima della pandemia).
Scendendo più nel concreto, occorre osservare che gli effetti del covid sulla scuola vanno valutati nel loro complesso: dal benessere psicologico dei ragazzi all’abbandono scolastico, dalle disuguaglianze agli investimenti per la Dad. Dal punto di vista socio-relazionale, la privazione forzata della scuola in presenza non solo ha ridotto la possibilità per bambini e ragazzi di imparare in altri ambienti, di sostenere la totalità delle attitudini di apprendimento, ma soprattutto ha impedito lo sviluppo di capacità di socializzazione con coetanei e adulti al di fuori dall’ambito familiare, intaccando l’acquisizione di competenze di collaborazione fattiva con gli altri, di risolvere problemi reali e di acquisire qualità cruciali per essere cittadini attivi e consapevoli, creativi e collaborativi. Inoltre, studi recenti illustrano come tutta questa mancanza di concretezza e i prossimità, di canalizzazione delle energie fisiche e psichiche ha mostrato un preoccupante aumento di ansia e stress nei ragazzi, unitamente all’incapacità di gestire l’aggressività nelle interazioni fra coetanei che facilmente trasecolano nella violenza fisica e verbale, quando addirittura non finiscono per rifiutare “tout court” l’interazione fisica. In tal senso risulta allarmante il dato relativo alla percentuale (il 95%!) con cui i ragazzi sul finire dello scorso anno scolastico hanno declinato la possibilità di riprendere in presenza la scuola, a fronte della diminuzione della pericolosità della compresenza fisica a scuola di alunni e docenti.
Un ulteriore effetto accelerato dal covid è purtroppo anche l’aumento globale dell’abbandono scolastico: le difficoltà in cui si sono trovate le famiglie (si pensi ad esempio a nuclei familiari numerosi muniti di un solo dispositivo digitale ma con più figli in età scolare) hanno spinto molti ragazzi in condizioni socio-economiche svantaggiate ad abbandonare gli studi, in particolare in base agli ultimi dati raccolti dal Ministero dell’Istruzione negli ultimi due anni scolastici, i livelli di abbandono scolastico in Italia superano abbondantemente i target fissati in sede europea nel 2008 e rinnovati annualmente. Ovviamente si tratta di dati che solo a lungo termine paleseranno i loro effetti nefasti non solo sui livelli di istruzione, ma anche di occupazione e di benessere globale.
Sul versante dei docenti, poi, va anche detto la precarietà in cui ci si è trovati ha indotto coattamente a fare i conti con una realtà che già da tempo provocava ad un uso più sapiente e pratico di supporti digitali e software. Certamente anche quest’aspetto è stato rivelativo: è stato richiesto agli insegnanti un surplus non indifferente di energie, di aggiornamento delle capacità di gestione della classe che la distanza fisica e la comunicazione mediata hanno notevolmente complicato. Certamente chi serbava nel cuore una reale vocazione all’accompagnamento della crescita e del sapere degli alunni ha avuto l’occasione di prodigarsi e di cacciar fuori dal bagaglio una creatività quanto mai necessaria. Anche se questo, tuttavia, non poteva essere scontato o pacificamente diffuso.
Infatti, pur avendo nella memoria inciampi e fallimenti che i media ci hanno offerto ripetutamente in questi tre anni, va opportunamente resa giustizia a quei ragazzi e a quei docenti che hanno rappresentato esempi di virtuosa caparbietà e desiderio. La “scuola senza zaino”, le classi 2.0 sono solo alcuni degli esperimenti già da tempo proposti dal MIUR e che la contingenza ha aiutato a sperimentare con maggior consapevolezza e concretezza; gli stessi concorsi per il reclutamento degli insegnanti (quello per le classi STEM del 2021 e quello ordinario tuttora in corso) testimoniano questo cambio di rotta, nei docenti e negli alunni: parallelamente alle conoscenze disciplinari e competenze didattiche, gli aspiranti insegnanti sono esaminati anche sulle capacità digitali e sulla progettazione di didattiche inclusive ed interattiva mediante supporti e applicazioni. Investire in formazione iniziale e in aggiornamento continuo è cruciale per consolidare i passi avanti già fatti e per incorporare le numerose innovazioni e sperimentazioni frutto delle necessità legate alla pandemia per costruire una scuola del futuro che sia efficace e di qualità.
Come tutte le circostanze in cui ci troviamo a vivere (a maggior ragione quelle di obiettiva fatica e difficoltà), la pandemia, unitamente a tutti i suoi effetti, ha indotto ad una più profonda coscienza di sé: i processi già in corso sono stati catalizzati e velocizzati mostrando con crudezza le fatiche già esistenti nell’ambito scolastico e in generale degli educandi. Al contempo, ogni periodo di crisi ci forza ad ingegnarci, a trovare con più senso di necessità nuove vie da percorrere, ad accogliere con più responsabilità gli stimoli derivanti dalla realtà e a canalizzarli nella direzione del bene possibile. Sia questo l’augurio per i docenti e per i ragazzi di oggi che, sostenuti e fiduciosi, pian piano assumono il volto del nostro futuro.
Andrea Cassano