“Pace a voi!”. Ricorre ben tre volte nella pericope della domenica in Albis, la prima domenica dopo Pasqua. Sebbene sia passata già una settimana dalla celebrazione liturgica della Pasqua del Signore, il Vangelo fa ancora riferimento a quel giorno, il “primo della settimana”, in cui Maria di Magdala troverà il sepolcro vuoto (Gv 20,2).
Ecco la prima parola che il Signore risorto rivolge ai suoi discepoli: Pace! Il Signore appare ai discepoli che si erano messi al riparo per “timore”, e possiamo ben immaginare quale bisogno di pace avessero dopo quei giorni così drammatici!
Non è una parola qualsiasi, un saluto di circostanza, ma è il primo dono del Risorto ai suoi discepoli, quel dono che diverrà missione grazie alla presenza dello Spirito Santo. La gioia dei discepoli alla vista di Gesù si trasformerà subito in annuncio del Kerygma con le parole “abbiamo visto il Signore!” (Gv 20,25).
È proprio così che agisce il Signore. A tutti capita di rifugiarsi per timore, per paura, e non sempre è qualcosa di negativo: abbiamo fatto bene a “rifugiarci” in casa durante il tempo del Covid. Può succedere però che a volte questi rifugi finiscano per soffocarci, per tenerci lontano dalla vita vissuta in pienezza nella relazione, nel dono di sé, nell’amore. Tutto questo avviene perché abbiamo paura! Paura di uscirne feriti, sconfitti, delusi, e allora preferiamo isolarci, ci chiudiamo in atteggiamenti scontrosi, egoistici…è meglio pensare al proprio interesse che finire col dover rimediare ai danni causati da qualcun altro!
Ma in questo circolo vizioso di paure e difese, ecco che l’incontro con il Signore viene a creare scompiglio nelle nostre vite programmate al secondo.
Nelle stanze più interne della nostra intimità, dove risiedono le nostre paure e le nostre ferite più profonde, si presenta il Signore Risorto con lo stesso dono che aveva riservato ai discepoli: Pace!
Ma insieme al dono della pace c’è altro. Gesù mostra i segni della sua Passione. Il Signore ci mostra che la pace che ci dona è il frutto del suo sacrifico d’amore per noi, il frutto del non essersi rifugiato per timore, ma di essere andato fino in fondo, perché solo in quella donazione totale si sarebbe manifestata la pienezza della sua messianicità, avrebbe avuto senso il suo pellegrinaggio terreno.
La pace che viene a portare il Signore nella nostra vita non deve portare ad accomodarci e a vivere nell’imperturbabilità, non è questa la pace del Signore.
La pace del Signore ci spinge alla missione, perché forti della sua presenza, ricolmati del suo Spirito, possiamo uscire nel mondo a testimoniare che l’amore del Signore che è morto per me ha dato nuovo senso alla mia vita, ha convertito le mie paure in speranza.
Allora il mondo non sarà più un luogo ostile, pieno di pericoli, ma terreno fertile perché la pace del Signore possa diffondersi ovunque. E quanto abbiamo bisogno oggi di pace nel mondo!
Sta a noi affrontare le nostre paure, uscire dai nostri rifugi, metterci dietro al Signore Risorto che non ha avuto paura di donare sé stesso, perché in quella donazione c’è il segreto per una vita piena e per una comunità gioiosa e in pace.
Emanuele De Michele, IV anno
Diocesi di Conversano-Monopoli
“Pace a voi!”. Ricorre ben tre volte nella pericope della domenica in Albis, la prima domenica dopo Pasqua. Sebbene sia passata già una settimana dalla celebrazione liturgica della Pasqua del Signore, il Vangelo fa ancora riferimento a quel giorno, il “primo della settimana”, in cui Maria di Magdala troverà il sepolcro vuoto (Gv 20,2).
Ecco la prima parola che il Signore risorto rivolge ai suoi discepoli: Pace! Il Signore appare ai discepoli che si erano messi al riparo per “timore”, e possiamo ben immaginare quale bisogno di pace avessero dopo quei giorni così drammatici!
Non è una parola qualsiasi, un saluto di circostanza, ma è il primo dono del Risorto ai suoi discepoli, quel dono che diverrà missione grazie alla presenza dello Spirito Santo. La gioia dei discepoli alla vista di Gesù si trasformerà subito in annuncio del Kerygma con le parole “abbiamo visto il Signore!” (Gv 20,25).
È proprio così che agisce il Signore. A tutti capita di rifugiarsi per timore, per paura, e non sempre è qualcosa di negativo: abbiamo fatto bene a “rifugiarci” in casa durante il tempo del Covid. Può succedere però che a volte questi rifugi finiscano per soffocarci, per tenerci lontano dalla vita vissuta in pienezza nella relazione, nel dono di sé, nell’amore. Tutto questo avviene perché abbiamo paura! Paura di uscirne feriti, sconfitti, delusi, e allora preferiamo isolarci, ci chiudiamo in atteggiamenti scontrosi, egoistici…è meglio pensare al proprio interesse che finire col dover rimediare ai danni causati da qualcun altro!
Ma in questo circolo vizioso di paure e difese, ecco che l’incontro con il Signore viene a creare scompiglio nelle nostre vite programmate al secondo.
Nelle stanze più interne della nostra intimità, dove risiedono le nostre paure e le nostre ferite più profonde, si presenta il Signore Risorto con lo stesso dono che aveva riservato ai discepoli: Pace!
Ma insieme al dono della pace c’è altro. Gesù mostra i segni della sua Passione. Il Signore ci mostra che la pace che ci dona è il frutto del suo sacrifico d’amore per noi, il frutto del non essersi rifugiato per timore, ma di essere andato fino in fondo, perché solo in quella donazione totale si sarebbe manifestata la pienezza della sua messianicità, avrebbe avuto senso il suo pellegrinaggio terreno.
La pace che viene a portare il Signore nella nostra vita non deve portare ad accomodarci e a vivere nell’imperturbabilità, non è questa la pace del Signore.
La pace del Signore ci spinge alla missione, perché forti della sua presenza, ricolmati del suo Spirito, possiamo uscire nel mondo a testimoniare che l’amore del Signore che è morto per me ha dato nuovo senso alla mia vita, ha convertito le mie paure in speranza.
Allora il mondo non sarà più un luogo ostile, pieno di pericoli, ma terreno fertile perché la pace del Signore possa diffondersi ovunque. E quanto abbiamo bisogno oggi di pace nel mondo!
Sta a noi affrontare le nostre paure, uscire dai nostri rifugi, metterci dietro al Signore Risorto che non ha avuto paura di donare sé stesso, perché in quella donazione c’è il segreto per una vita piena e per una comunità gioiosa e in pace.
Emanuele De Michele, IV anno
Diocesi di Conversano-Monopoli
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