Per conoscere il nostro desiderio di felicità, Gesù scende, si trova in un luogo pianeggiante e, per parlare alla gente, deve alzare gli occhi.
Egli non ci guarda dall’alto in basso per commiserare le nostre situazioni, anzi, si mette più in basso, ci parla alzando gli occhi al cielo, perché, mentre vede le nostre miserie, sta presentando al Signore Gesù i nostri nomi.
Tutti noi, uomini e donne, vogliamo essere felici. La felicità sembra una meta da conquistare. Ci sono tanti modi di porsi di fronte ad essa: chi resta immobile, chi non ci pensa, ormai scoraggiato, chi invece corre per raggiungerla. Di fronte a questi cavalli impazziti che scalpitano, troviamo l’immagine che ci consegna il libro di Geremia: l’uomo felice, benedetto dal Signore, è come un albero piantato, ben fermo e stabile, lungo corsi d’acqua (Ger 17,8).
In questa domenica, l’evangelista Luca, ci presenta Gesù che sembra partire dal desiderio più profondo dell’uomo: vogliamo essere felici! Mentre Matteo riferisce otto Beatitudini pronunciate da Gesù, Luca ne riferisce solo quattro. In compenso però, Luca rafforza le quattro Beatitudini, opponendo a ognuna di esse un corrispondente richiamo, introdotta da un «guai». La felicità non è una cosa da possedere o conquistare, ma è una condizione che qualifica la nostra vita. L’eudaimonia, la felicità appunto, si raggiunge mettendo in atto, con la nostra volontà, azioni che ci portano via via a raggiungere quel fine desiderato. Gesù invece ci presenta situazioni apparentemente paradossali in cui possiamo renderci conto di essere già felici.
Leggendo bene, infatti, le situazioni presentate da Gesù sono caratterizzate tutte da una mancanza: felici sono i poveri che non hanno nessuno su cui contare (e proprio per questo nella loro vita c’è spazio per Dio), felice è chi non ha da mangiare, chi piange, chi viene odiato a causa del Figlio dell’uomo. Rendiamoci conto che siamo felici quando non abbiamo niente, quando piangiamo, quando ci odiano, quando ci insultano, perché proprio in quei momenti è il Signore Gesù la nostra ricchezza, la nostra consolazione, la vostra difesa. La felicità non è una meta lontana da raggiungere, perché è in questo giorno, dice Gesù, che ci si può rallegrare. Noi siamo già nella condizione di accogliere Dio nel vuoto della nostra vita.
Dall’altra parte, coloro che sono ricchi, che sono sazi o che hanno motivi per ridere, coloro di cui tutti parlano bene, facilmente si dimenticano di Dio. Pensano infatti di bastare a se stessi, si sentono forti e autosufficienti, il loro io occupa tutto lo spazio della loro vita. Proviamo in questa domenica ad assumere la consapevolezza che siamo felici perché Dio si occupa di noi, in particolare se siamo poveri, affamati, perseguitati.
Le beatitudini ci aiutano a scoprire il mistero di Dio che, come un genitore, dedica attenzione ai suoi figlio donando a ciascuno secondo il suo bisogno.
Per conoscere il nostro desiderio di felicità, Gesù scende, si trova in un luogo pianeggiante e, per parlare alla gente, deve alzare gli occhi.
Egli non ci guarda dall’alto in basso per commiserare le nostre situazioni, anzi, si mette più in basso, ci parla alzando gli occhi al cielo, perché, mentre vede le nostre miserie, sta presentando al Signore Gesù i nostri nomi.
Tutti noi, uomini e donne, vogliamo essere felici. La felicità sembra una meta da conquistare. Ci sono tanti modi di porsi di fronte ad essa: chi resta immobile, chi non ci pensa, ormai scoraggiato, chi invece corre per raggiungerla. Di fronte a questi cavalli impazziti che scalpitano, troviamo l’immagine che ci consegna il libro di Geremia: l’uomo felice, benedetto dal Signore, è come un albero piantato, ben fermo e stabile, lungo corsi d’acqua (Ger 17,8).
In questa domenica, l’evangelista Luca, ci presenta Gesù che sembra partire dal desiderio più profondo dell’uomo: vogliamo essere felici! Mentre Matteo riferisce otto Beatitudini pronunciate da Gesù, Luca ne riferisce solo quattro. In compenso però, Luca rafforza le quattro Beatitudini, opponendo a ognuna di esse un corrispondente richiamo, introdotta da un «guai». La felicità non è una cosa da possedere o conquistare, ma è una condizione che qualifica la nostra vita. L’eudaimonia, la felicità appunto, si raggiunge mettendo in atto, con la nostra volontà, azioni che ci portano via via a raggiungere quel fine desiderato. Gesù invece ci presenta situazioni apparentemente paradossali in cui possiamo renderci conto di essere già felici.
Leggendo bene, infatti, le situazioni presentate da Gesù sono caratterizzate tutte da una mancanza: felici sono i poveri che non hanno nessuno su cui contare (e proprio per questo nella loro vita c’è spazio per Dio), felice è chi non ha da mangiare, chi piange, chi viene odiato a causa del Figlio dell’uomo. Rendiamoci conto che siamo felici quando non abbiamo niente, quando piangiamo, quando ci odiano, quando ci insultano, perché proprio in quei momenti è il Signore Gesù la nostra ricchezza, la nostra consolazione, la vostra difesa. La felicità non è una meta lontana da raggiungere, perché è in questo giorno, dice Gesù, che ci si può rallegrare. Noi siamo già nella condizione di accogliere Dio nel vuoto della nostra vita.
Dall’altra parte, coloro che sono ricchi, che sono sazi o che hanno motivi per ridere, coloro di cui tutti parlano bene, facilmente si dimenticano di Dio. Pensano infatti di bastare a se stessi, si sentono forti e autosufficienti, il loro io occupa tutto lo spazio della loro vita. Proviamo in questa domenica ad assumere la consapevolezza che siamo felici perché Dio si occupa di noi, in particolare se siamo poveri, affamati, perseguitati.
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