È bello accorgersi che Marco ci presenta il racconto dell’ingresso messianico di Gesù a Gerusalemme in una doppia chiave, umile e solenne. Questi due misteri e caratteri ci aprono al mistero di Cristo, la cui grandezza sta nel servire, nel dare la vita, nel dare la vita per tutti.
Quell’asino, che Gesù sceglie per fare il suo ingresso nella città, che lo vedrà protagonista della sua passione, è la concreta espressione della modalità e del contenuto della proposta salvifica di Cristo: una vittoria diversa, quella di un re che sceglie di salire su un asino su cui nessun altro era salito. Questo animale è il simbolo e manifestazione della messianicità di Gesù nella giustizia e nell’umiltà e che si muove solamente a gloria di Dio Padre.
La scelta di cavalcare un asino è l’espressione di uno stile, la necessità di un atteggiamento, l’accoglienza di un messaggio che non solo è per tutti ma rivela un movimento di liberazione totale dell’uomo.
Alla luce di questo diventa più emblematico comprendere il paradosso della reazione del popolo che oggi grida «Osanna!» e che tra poche ore griderà «Crocifiggilo!». Si tratta della delusione derivante dall’incomprensibilità della croce come strumento della gloria. Lo stesso Gesù che entra trionfante e glorioso a Gerusalemme, diventa, infatti, un “uomo solo”, diventa un falso messia, un messia deludente, che, quando verrà giudicato e condannato, si addosserà ogni nostra colpa e ogni nostra delusione umana e limitata.
Questa delusione della gente rispecchia perfettamente il nostro vivere nell’incapacità di cogliere il glorioso ingresso di Cristo nelle nostre vite. Siamo soliti, infatti, inneggiare e lodare la gloria di Cristo senza renderci conto che quella gloria non è materialistica, frutto dall’esercizio di un potere, ma è la libera espressione di impegno volto al servizio, di una vita intera donata e che va controcorrente rispetto a ogni logica di mercificazione dell’uomo in ogni sua dimensione. Diventa, perciò, una vita a cui è permesso cavalcare un umile e semplice asino, che cammina piano e riconosce le grandi occasioni derivanti dalle umiliazioni e le usa, anzi, per seguire Cristo, per andare a Dio.
Siamo chiamati a sostare davanti a quel re che viene osannato nella sua umile manifestazione di gloria, a contemplare e riconoscere che quello stesso modo umile di entrare a Gerusalemme, trova il suo compimento solo nella frustrante e deludente sosta della crocifissione. Siamo chiamati a trasformare la delusione derivante dalla nostra limitatezza nel comprendere la gloria di Dio, in una sapienza e armonia di totale e responsabile abbandono al Cristo crocifisso. E proprio perché la crocifissione si rivelerà una sosta, siamo chiamati a guardare oltre, a vivere, come nella Trasfigurazione, una contemplazione di un “Gesù solo” che rimane deludente per degli occhi che guardano senza cuore, senza tenere a cuore e senza tenere nel cuore.
Nicola Difino, IV anno
Commento Solennità dell’ Ascensione
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