«Oggi la vera pace è scesa a noi dal cielo» (dall’Antifona d’ingresso): è questa la parola che ci colloca nella liturgia di questa Notte santa, memoria dell’evento dell’Incarnazione del Verbo che nasce a Betlemme di Giudea, dalla Vergine Madre. Questa avvenimento non può arrestarsi ad essere un semplice ricordo ma, nel mistero che celebriamo, diventa per noi vera e reale attualità, il presente che già gustiamo.
Il Natale del Signore è sotto i nostri occhi, talvolta stanchi e insoddisfatti da una quotidianità svuotata dal suo senso originario e mendicante di bellezza autentica. Abbiamo bisogno di una Luce che irrompa nelle tenebre, in cui sembrano dominare ombre di morte, discordia, arcane guerre intestine e che si esplicitano nei conflitti armati sui campi di battaglia del nostro mondo.
Anche noi come Israele, «popolo che camminava nelle tenebre» (Cf. Is 9,1-6), incontriamo la «grande luce» che rende nuova ogni cosa. Isaia, in questo brano, adopera le immagini della mietitura e della vittoria come segni evidenti di una novità che manifesta la liberazione del popolo dalla schiavitù e, in un crescendo che soffia sul cuore brividi ineffabili, annuncia la nascita di un bambino «per noi»: si, per noi che vaghiamo come i pastori di Giudea, sentinelle di greggi altrui, brancolanti in dirupi che finiamo per non conoscere e che ci feriscono. Per noi nasce un bambino, datoci come figlio, uno di noi, carne della nostra carne, intessuto nel grembo di Maria, tenda dell’Alleanza nuova ed eterna, accarezzato dalle mani callose e pure del giusto Giuseppe. Davvero possiamo dire con l’Apostolo che «è apparsa la grazia, che porta salvezza a tutti gli uomini» (Cf. Tt 2,11-14), ci ha raggiunti per sempre Colui che è pronto a dare se stesso per noi sin d’ora.
Ci disarma il Piccolo di Betlemme, Pane buono e fragrante, che ha il profumo del Cielo mai più per noi chiuso, ma d’ora innanzi spalancato senza ripensamento alcuno. Ci mette sulle strade che conducono alla sua greppia (Cf. Lc 2,1-14), in mezzo agli animali, nel silenzio di una notte che ormai parla, narra, canta la gloria di Dio insieme alle schiere angeliche. È la liturgia del cosmo e della storia che fa festa per il suo Signore, per il Bambino avvolto in fasce, adorato dalla povera gente. Qui torniamo a essere uomini, qui vediamo riemergere sui nostri volti, scavati da lacrime nascoste, l’immagine di Dio impressa da sempre e forse solo offuscata per la distanza da lui.
Ora, a piccoli passi, quelli del Bambino di Betlemme, egli viene a cercarci nella letizia profonda di chi non attende altro che ristabilire ciò che siamo, ridonandici la bellezza che siamo, trasformandoci in lui, al ritmo sinfonico della storia che accoglie il Mistero e del Mistero che tutto ormai avvolge e riverbera secondo il vagito di un Bimbo. Tacciano dunque le armi, si destino i cuori assonnati, riprendano coraggio coloro che vivono l’esilio della paura, sentano la prossimità del Cielo gli erranti senza meta: nel silenzio di questa notte discende il Verbo, piccolo tra piccoli, povero tra poveri; Colui che è da principio, accende di pienezza il tempo; l’Atteso dai secoli antichi, è ormai il Vicinissimo dei tuoi giorni.
Oggi è nato per noi il Salvatore! Oggi è il suo Natale e, in lui, anche il nostro!
Roberto Carbotti, V anno