Le letture di questa domenica si articolano in modo assai armonico: un passo del profeta Isaia (Is 6,1-2a,3-8) che evoca le circostanze dell’inizio del suo ministero; la testimonianza di Paolo (1Cor 15,1-11) che, scrivendo ai Corinzi, parla di se e del dono di annunciare il Vangelo; il racconto della pesca miracolosa, tratto dal vangelo di Luca (Lc 5,1-11), con cui si inaugura la vita di sequela dei discepoli.
Ciò che collega questi tre brani è sicuramente il tema della vocazione-impurità: nella I Lettura, infatti, veniamo portati dal profeta all’interno della sua «visione», nel contesto del tempio, in cui egli viene mandato da Dio al popolo di Israele; nella seconda lettura Paolo risponde con forza apostolica a chi, nella comunità di Corinto, non crede alla risurrezione dai morti (1Cor 15,12), riportando alla comunità ciò che lui per primo ha ricevuto e lo conferma attraverso la sua esperienza personale con il Signore Risorto sulla via di Damasco; infine, nel brano del vangelo troviamo la chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù.
In Isaia si può subito notare il contesto in cui siamo immersi: «io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio» (Is 6,1). Egli, davanti a tutto questo, si sente sopraffatto e manifesta tutta la sua impurità: «Ohimè! Io sono perduto perché un uomo dalle labbra impure io sono [...]; eppure i miei occhi hanno visto il Signore degli eserciti» (Is 6,5). Con questa consapevolezza egli viene purificato da Dio e alla domanda: «Chi manderò e chi andrà per noi?» (Is 6,8a) il profeta, sicuro dell’azione di Dio su di lui, può rispondere con serenità d’animo: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8b).
Nella Lettera ai Corinzi, Paolo inizia a parlare di quello che ha ricevuto nell’insegnamento tradizionale della Chiesa riguardo la risurrezione, e cioè «che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3b-5). A questo dato tradizionale aggiunge anche l’esperienza della sua chiamata; «Ultimo fra tutti, apparve anche a me come a un aborto» (1Cor 15,8); porta come testimonianza la sua vicenda personale, sottolineando fortemente la sua impurità, avendo egli «perseguitato la Chiesa di Dio» (1Cor 15,9), e la grazia che il Signore gli ha concesso per diventare quello che è, cioè assiduo annunciatore del Vangelo.
Nel Vangelo di Luca ci troviamo sulle sponde del lago di Gennesaret e qui Gesù sta istruendo ma «la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (Lc 5,1) e, per poter insegnare meglio, chiede una barca a dei pescatori che avevano finito il loro lavoro. Quando ebbe finito di parlare Gesù si intrattiene con questi uomini e Simon Pietro rimane un po’ stupefatto dalla richiesta di Gesù di andare a pescare in pieno giorno, complice anche la nottata passata in bianco in cui non hanno pescato niente ma egli dice: «sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5). Non poteva credere a quello che stava succedendo: una quantità di pesci smisurata entra nelle loro reti e la barca stava quasi per affondare, visto il peso della pescata.
Simon Pietro, allora, «si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”» (Lc 5,8); ritorna anche qui l’aspetto della impurità. Pietro si sente piccolo e fragile davanti a questo maestro di cui si è fidato ciecamente, e con le sue parole dice il contrario del suo gesto, chiede di allontanarsi da lui ma è lui il primo ad avvicinarsi a Gesù. Il Signore, vedendo tutto ciò, lo guarda e lo chiama: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,9). Con Pietro c’erano anche altre persone, come Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo; anche loro, con Pietro «lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11).
Il Signore chiede anche a noi oggi di riconoscerci umili e fragili come hanno fatto il profeta Isaia, Paolo e Pietro davanti alle opere che Egli compie sempre per noi e di lasciarci accompagnare da lui nonostante i nostri limiti. E noi, dopo tutta questa grazia che ci è data gratuitamente, non possiamo che dire insieme con il salmista: «Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà: hai reso la tua promessa più grande del tuo nome» (Sal 137).
Francesco Liso, IV anno
Le letture di questa domenica si articolano in modo assai armonico: un passo del profeta Isaia (Is 6,1-2a,3-8) che evoca le circostanze dell’inizio del suo ministero; la testimonianza di Paolo (1Cor 15,1-11) che, scrivendo ai Corinzi, parla di se e del dono di annunciare il Vangelo; il racconto della pesca miracolosa, tratto dal vangelo di Luca (Lc 5,1-11), con cui si inaugura la vita di sequela dei discepoli.
Ciò che collega questi tre brani è sicuramente il tema della vocazione-impurità: nella I Lettura, infatti, veniamo portati dal profeta all’interno della sua «visione», nel contesto del tempio, in cui egli viene mandato da Dio al popolo di Israele; nella seconda lettura Paolo risponde con forza apostolica a chi, nella comunità di Corinto, non crede alla risurrezione dai morti (1Cor 15,12), riportando alla comunità ciò che lui per primo ha ricevuto e lo conferma attraverso la sua esperienza personale con il Signore Risorto sulla via di Damasco; infine, nel brano del vangelo troviamo la chiamata dei primi discepoli da parte di Gesù.
In Isaia si può subito notare il contesto in cui siamo immersi: «io vidi il Signore seduto su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio» (Is 6,1). Egli, davanti a tutto questo, si sente sopraffatto e manifesta tutta la sua impurità: «Ohimè! Io sono perduto perché un uomo dalle labbra impure io sono [...]; eppure i miei occhi hanno visto il Signore degli eserciti» (Is 6,5). Con questa consapevolezza egli viene purificato da Dio e alla domanda: «Chi manderò e chi andrà per noi?» (Is 6,8a) il profeta, sicuro dell’azione di Dio su di lui, può rispondere con serenità d’animo: «Eccomi, manda me!» (Is 6,8b).
Nella Lettera ai Corinzi, Paolo inizia a parlare di quello che ha ricevuto nell’insegnamento tradizionale della Chiesa riguardo la risurrezione, e cioè «che Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3b-5). A questo dato tradizionale aggiunge anche l’esperienza della sua chiamata; «Ultimo fra tutti, apparve anche a me come a un aborto» (1Cor 15,8); porta come testimonianza la sua vicenda personale, sottolineando fortemente la sua impurità, avendo egli «perseguitato la Chiesa di Dio» (1Cor 15,9), e la grazia che il Signore gli ha concesso per diventare quello che è, cioè assiduo annunciatore del Vangelo.
Nel Vangelo di Luca ci troviamo sulle sponde del lago di Gennesaret e qui Gesù sta istruendo ma «la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio» (Lc 5,1) e, per poter insegnare meglio, chiede una barca a dei pescatori che avevano finito il loro lavoro. Quando ebbe finito di parlare Gesù si intrattiene con questi uomini e Simon Pietro rimane un po’ stupefatto dalla richiesta di Gesù di andare a pescare in pieno giorno, complice anche la nottata passata in bianco in cui non hanno pescato niente ma egli dice: «sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5). Non poteva credere a quello che stava succedendo: una quantità di pesci smisurata entra nelle loro reti e la barca stava quasi per affondare, visto il peso della pescata.
Simon Pietro, allora, «si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”» (Lc 5,8); ritorna anche qui l’aspetto della impurità. Pietro si sente piccolo e fragile davanti a questo maestro di cui si è fidato ciecamente, e con le sue parole dice il contrario del suo gesto, chiede di allontanarsi da lui ma è lui il primo ad avvicinarsi a Gesù. Il Signore, vedendo tutto ciò, lo guarda e lo chiama: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini» (Lc 5,9). Con Pietro c’erano anche altre persone, come Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo; anche loro, con Pietro «lasciarono tutto e lo seguirono» (Lc 5,11).
Il Signore chiede anche a noi oggi di riconoscerci umili e fragili come hanno fatto il profeta Isaia, Paolo e Pietro davanti alle opere che Egli compie sempre per noi e di lasciarci accompagnare da lui nonostante i nostri limiti. E noi, dopo tutta questa grazia che ci è data gratuitamente, non possiamo che dire insieme con il salmista: «Rendo grazie al tuo nome per il tuo amore e la tua fedeltà: hai reso la tua promessa più grande del tuo nome» (Sal 137).
Francesco Liso, IV anno
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