Il brano dell’evangelista Luca proposto in questa domenica di Pasqua ci presenta due uomini tristi che tornano a casa dopo un’esperienza deludente. Questi uomini avevano ascoltato le grandi promesse di Gesù di Nazareth, avevano visto le sue grandi opere, avevano vissuto al suo fianco credendo che fosse la persona giusta da seguire, ma in pochi giorni si sono ritrovati a ricordare un uomo morto di una morte misera, a parlarne, a discuterne. Non sappiamo di preciso di cosa discutessero ma è possibile pensare che l’oggetto del discorso fosse l’errore commesso nel valutare la persona di Gesù o la delusione di una sequela errata o il timore di non vedere il compimento delle promesse ricevute.
Non capita raramente di rendersi conto di aver fatto tanta strada e di non aver capito niente. Molte volte ci troviamo spaesati, convinti di sapere tutto ma per qualche strana ragione i conti non tornano, oppure abbiamo tra le mani tutte le tessere di un puzzle, ma non ce ne rendiamo conto (o non vogliamo rendercene conto!) e abbiamo bisogno di una scossa che ci faccia cambiare il modo di guardare quelle tessere, come lo è stato Gesù per i due compagni di viaggio.
In un primo momento vediamo come Gesù stesso si accosta ai due seguendo il loro passo e ascoltando le loro preoccupazioni. Non entra a gamba tesa, non si impone come portatore di una verità da accettare a tutti i costi.
Lui si pone accanto, ci accompagna, ma non sempre siamo disposti ad accoglierlo. Al contrario, talvolta, come i due discepoli, lo rimproveriamo perché lo sentiamo distante dalla nostra vita: “solo tu sei forestiero?” (Lc 24, 18), come a dire “gli altri sanno tutto, io so tutto, come mai tu no?”. Ma chi sono gli altri? Sono quelli che compongono la folla che ha seguito Gesù, quella stessa folla che ha chiesto la sua crocifissione.
E anche noi come parte di quella folla sappiamo puntare il dito contro il Signore, additandolo come la causa dei nostri mali, delle nostre sventure, dei nostri errori.
Ma il Signore stesso ci mostra che non è mai troppo tardi per fare esperienza di Lui è sentirlo compagno di viaggio più che nemico, anche se questo non è sempre facile o immediato. Gesù ci da tutto il tempo di cui abbiamo bisogno per renderci conto che Lui cammina con noi: “sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute” (Lc 24, 21). Sono forse troppi tre giorni davanti alla grandezza del sacrificio d’amore di Cristo?
Non bastano però le parole o i ragionamenti per scoprirsi accompagnati o amati dal Signore. È necessaria l’esperienza, i due discepoli infatti “l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane” (Lc 24, 35). L’avevano riconosciuto nel momento in cui faceva qualcosa di semplice, un gesto quotidiano, di routine. Un gesto d’amore in cui si sono sentiti coinvolti perché ha toccato il loro vissuto, infatti Gesù aveva già spezzato il pane per loro dandogli un significato che resterà nel loro cuore. Questo ci mostra come il Signore si manifesta nella vita di tutti giorni e trasforma ciò che consideriamo piccolo e scontato in una occasione di incontro e cambiamento.
Una volta che hanno riconosciuto il Signore sono pieni di gioia tanto che “partirono senza indugio” (Lc 24, 33), senza temere i pericoli della notte. Così chi segue il Signore e fa esperienza di lui sente il desiderio di comunicarlo al più presto agli altri e non teme il buio che talvolta arriva nella sua vita perché lascia che sia il Signore ad illuminare la sua strada. Se c’è l’incontro con Cristo c’è la gioia di un annuncio che vince anche la notte.
Cosimo Lorenzo Fantastico, IV anno
Diocesi di Nardò-Gallipoli