In quella santa notte non è nato solo un bambino; è cambiata per sempre l’umanità intera.
Gesù è la Parola incarnata, che rende Dio visibile, vicino a noi. Da quel momento, ognuno di noi può dire di riconoscersi in Cristo, perché “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). È il Figlio di Dio, che non solo è venuto ad abitare in mezzo a noi, al popolo di Dio, ma lo ha fatto al punto tale da farsi “come noi”, “uno di noi”! È entrato nel mondo, nella fragilità di un bambino per poter raggiungere ognuno di noi e mostrarci il Volto del Padre, che con Cristo si rivela.
È in questo disegno d’amore che troviamo la nostra identità, la ragione della vocazione di ciascuno, ed è l’apostolo Paolo nella seconda lettura ad offrircene la risposta: essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà (Ef 1,5); si è fatto carne per renderci figli di Dio e partecipare della sua relazione filiale con il Padre. È la vocazione alla salvezza, che Dio ha pensato per noi e che ora ci dona attraverso suo Figlio.
La pandemia che stiamo vivendo ha colpito ognuno di noi in modo diverso; la perdita di un caro, le difficoltà economiche e lavorative, la positività, un isolamento che per alcuni ha provocato un senso di solitudine tale da attanagliarne i cuori. Il rischio più grande che possiamo vivere è quello di perdere la speranza. Oggi la Parola ci dice che Dio stesso, in Gesù suo Figlio, ci ha donato la salvezza, la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9), e ce l’ha donata una volta per tutte. Continuiamo a lasciarci illuminare da questa luce, fiduciosi che: “Finirà anche la notte più buia e sorgerà il sole” (Victor Hugo).
Antonio del Grosso, IV anno
Diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
anto.grosso1987@tiscali.it
Sir 24,1-2.8-12
Sal 147
Ef 1,3-6.15-18
Gv 1,1-18
Con la solennità di Maria Santissima Madre di Dio celebrata lo scorso 1°gennaio, è terminata l’Ottava di Natale, periodo peculiare nel quale contemplare il mistero del Verbo di Dio fatto carne e nato in una famiglia umana (cfr domenica 27 dicembre, Festa della Famiglia di Nazaret).
Entro tale cornice, potremmo paragonare il brano evangelico della II domenica dopo Natale al filo di una collana che, passando le attraverso le perle, le tiene tutte unite, dando così forma alla collana stessa. Similmente, il Prologo di Giovanni ci accompagna in tutti questi giorni e ritorna a noi come pericope proposta nella liturgica domenicale. Nelle letture ce ascolteremo, troviamo la sintesi di tutto il mistero del Natale: la sua nascita che risale al principio dei giorni dell’eternità (Canto delle Profezie), la sua venuta nel mondo, la nostra nuova condizione di Figli di Dio, la testimonianza profetica di Giovanni Battista.
La Sapienza descritta nella I lettura, concepita da Dio nella sua mente infinita, è stata inviata da Dio nel mondo: fissa la tenda in Giacobbe e prendi eredità in Israele, affonda le tue radici tra i miei eletti (Sir 24,8); essa è la Parola, che Dio ha mandato nel mondo perché si radicasse nel suo popolo e fosse riflesso della Sua presenza reale.
Il Prologo stesso si apre con “in principio”, un incipit che evoca alla nostra memoria un altro grande incipit contenuto nelle Scritture, quel “in principio” di Gen 1,1 con cui si apre il racconto della creazione. L’orizzonte verso cui ci proietta è davvero ampio: la nascita di Gesù non entra solo in una storia, ma abbraccia tutta la storia, dalla quale nessuno ne resta escluso.
In quella santa notte non è nato solo un bambino; è cambiata per sempre l’umanità intera.
Gesù è la Parola incarnata, che rende Dio visibile, vicino a noi. Da quel momento, ognuno di noi può dire di riconoscersi in Cristo, perché “il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). È il Figlio di Dio, che non solo è venuto ad abitare in mezzo a noi, al popolo di Dio, ma lo ha fatto al punto tale da farsi “come noi”, “uno di noi”! È entrato nel mondo, nella fragilità di un bambino per poter raggiungere ognuno di noi e mostrarci il Volto del Padre, che con Cristo si rivela.
È in questo disegno d’amore che troviamo la nostra identità, la ragione della vocazione di ciascuno, ed è l’apostolo Paolo nella seconda lettura ad offrircene la risposta: essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà (Ef 1,5); si è fatto carne per renderci figli di Dio e partecipare della sua relazione filiale con il Padre. È la vocazione alla salvezza, che Dio ha pensato per noi e che ora ci dona attraverso suo Figlio.
La pandemia che stiamo vivendo ha colpito ognuno di noi in modo diverso; la perdita di un caro, le difficoltà economiche e lavorative, la positività, un isolamento che per alcuni ha provocato un senso di solitudine tale da attanagliarne i cuori. Il rischio più grande che possiamo vivere è quello di perdere la speranza. Oggi la Parola ci dice che Dio stesso, in Gesù suo Figlio, ci ha donato la salvezza, la luce vera, quella che illumina ogni uomo (Gv 1,9), e ce l’ha donata una volta per tutte. Continuiamo a lasciarci illuminare da questa luce, fiduciosi che: “Finirà anche la notte più buia e sorgerà il sole” (Victor Hugo).
Antonio del Grosso, IV anno
Diocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
anto.grosso1987@tiscali.it
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