Allora la Parola di Dio ci invita a meditare sulla capacità trasformante ed edificante della nostra relazione con Dio, quella casa promessa a Davide nella prima lettura, spazio di ascolto e di dialogo, in cui trovare riparo, nutrimento e pace, anche quando fuori c’è tempesta. Luogo in cui vivere da figli e fratelli scoprendo con il tempo la nostra identità e l’umanità che siamo chiamati a vivere, non in solitudine ma con gli altri.
L’immagine proposta però non deve farci cadere nella tentazione di pensare che questo legame sia il rifugio per una esperienza intimistica, dove nascondersi dalla realtà e trovare appagamento delle insicurezze personali. Dio non ci dona una tana, ma una casa in cui crescere, in cui trovare ristoro per poter subito ripartire, pronti per andare in contro al mondo, aperti alla relazione con l’altro e a nuove occasioni per il fare il bene. Quindi comprendiamo bene il dubbio e il non senso di Maria dinanzi a questa progettualità con Dio, percepita come molto più grande di lei, oltre la sua immaginazione e la sua comprensione.
Queste reazioni sono espressione di tutta la sua umanità e fragilità che la rendono tanto vicina a noi, alle nostre storie vocazionali, ma anche di tutta la sua grande fede in Dio, che le permette di superare ogni timore e sospetto. Quella fede però non è un cieco ossequio, sicut cadaver, ma si tratta di una fiducia a seguito di uno sguardo di amore che le fa prendere consapevolezza che nella volontà di Dio sta il suo bene e non in altro. Se Davide non riuscirà a essere pienamente fedele a questa Parola vedendo in Dio qualcuno che vuole privarlo di qualcosa, Maria l’accoglierà e risponderà a questo sguardo di benedizione con l’ascolto e l’amore ai fratelli nel servizio, perché Dio è un Dio che dona, ci colma di grazia.
In questo tempo di pandemia, atrofizzati dalle distanze, dall’attesa e dalla solitudine, siamo chiamati a imitare Maria per riscoprire nella preghiera e nella carità il valore della relazione con Dio, casa delle nostre notti, in cui ritrovare uno sguardo che sappia riaprici alla fiducia, alla speranza e alla vita. E allora come Maria potremo rallegrarci e cantare il nostro Magnificat!
Marino Colamonico, IV anno
Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti
2Sam 7,1-5.8-12.14.16
Sal 88
Rm 16,25-27
Lc 1,26-38
Il cammino di Avvento verso la celebrazione del Natale ci invita a sostare in questa domenica a Nazareth per contemplare con Maria all’Annunciazione dell’Incarnazione del Figlio di Dio. La scena raccontata da Luca, acquista un significato nuovo se letta insieme alle altre letture della liturgia del giorno. Infatti il mistero a cui fa riferimento anche Paolo nella Lettera ai Romani, chiede di essere guardato come il compimento della promessa di Dio.
Con l’annuncio dell’angelo Gabriele l’attesa è finita, è giunto il tempo di rallegrarsi, perché quelle parole rivolte dal Signore a Natan si sono realizzate in Gesù Cristo, discendente di Davide, figlio che Maria concepirà e darà alla luce. Gesù è la testimonianza non solo della fedeltà di Dio alle sue promesse, ma soprattutto del suo desiderio di salvare l’umanità per sempre.
L’Emmanuele, il Dio con noi, diventa la porta di quel regno stabile per tutti i tempi, comunione di vita con Dio e i fratelli, salvezza per tutti gli uomini. In quell’annuncio rivolto alla Vergine oggi riscopriamo anche la promessa che Dio fa a ciascuno di noi di abitare la nostra vita, le nostre relazioni e i nostri progetti standoci accanto, non in modo invadente, tantomeno assente, ma come un amico, un compagno di viaggio con cui condividere le scelte e le tappe del nostro cammino. Una possibilità che ci viene offerta per rendere tutto più bello, più ricco di senso e più fecondo proprio perché condiviso con Lui.
Allora la Parola di Dio ci invita a meditare sulla capacità trasformante ed edificante della nostra relazione con Dio, quella casa promessa a Davide nella prima lettura, spazio di ascolto e di dialogo, in cui trovare riparo, nutrimento e pace, anche quando fuori c’è tempesta. Luogo in cui vivere da figli e fratelli scoprendo con il tempo la nostra identità e l’umanità che siamo chiamati a vivere, non in solitudine ma con gli altri.
L’immagine proposta però non deve farci cadere nella tentazione di pensare che questo legame sia il rifugio per una esperienza intimistica, dove nascondersi dalla realtà e trovare appagamento delle insicurezze personali. Dio non ci dona una tana, ma una casa in cui crescere, in cui trovare ristoro per poter subito ripartire, pronti per andare in contro al mondo, aperti alla relazione con l’altro e a nuove occasioni per il fare il bene. Quindi comprendiamo bene il dubbio e il non senso di Maria dinanzi a questa progettualità con Dio, percepita come molto più grande di lei, oltre la sua immaginazione e la sua comprensione.
Queste reazioni sono espressione di tutta la sua umanità e fragilità che la rendono tanto vicina a noi, alle nostre storie vocazionali, ma anche di tutta la sua grande fede in Dio, che le permette di superare ogni timore e sospetto. Quella fede però non è un cieco ossequio, sicut cadaver, ma si tratta di una fiducia a seguito di uno sguardo di amore che le fa prendere consapevolezza che nella volontà di Dio sta il suo bene e non in altro. Se Davide non riuscirà a essere pienamente fedele a questa Parola vedendo in Dio qualcuno che vuole privarlo di qualcosa, Maria l’accoglierà e risponderà a questo sguardo di benedizione con l’ascolto e l’amore ai fratelli nel servizio, perché Dio è un Dio che dona, ci colma di grazia.
In questo tempo di pandemia, atrofizzati dalle distanze, dall’attesa e dalla solitudine, siamo chiamati a imitare Maria per riscoprire nella preghiera e nella carità il valore della relazione con Dio, casa delle nostre notti, in cui ritrovare uno sguardo che sappia riaprici alla fiducia, alla speranza e alla vita. E allora come Maria potremo rallegrarci e cantare il nostro Magnificat!
Marino Colamonico, IV anno
Diocesi di Altamura-Gravina-Acquaviva delle Fonti
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