Es 20,1-17
Sal 18(19)
1Cor 1,22-25
Gv 2,13-25
«Così parla il Signore degli eserciti, Dio d'Israele: Cambiate le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo» (Ger 7,3)
All’inizio dell’itinerario quaresimale, accompagnati dall’evangelista Marco, siamo stati condotti dallo Spirito nel deserto, luogo di riscoperta della nostra autenticità; per poi giungere al Tabor nel momento della trasfigurazione, evento luminoso in questo tempo di rinnovamento e conversione. In questa III Domenica di Quaresima con l’evangelista Giovanni saliamo a Gerusalemme, al grande Tempio. Sono i giorni in cui si avvicinava la Pasqua e i Giudei salivano a Gerusalemme «per purificarsi» (Gv 11,55).
La prima parte del brano fa focalizzare il nostro sguardo sulla «purificazione del Tempio». È avvincente notare come da una parte i Giudei arrivano al Tempio per purificarsi mentre Gesù arriva al Tempio e lo purifica. Il Tempio era diventato il centro della vita economica del potere religioso di Gerusalemme: è utile sottolineare quanto anche noi siamo esposti al rischio di “convertire” il culto in mercato, in profitto, uno scambio. In una logica di questo tipo svanisce la bellezza della gratuità che Dio da sempre ci ha testimoniato. E questa testimonianza/dono di gratuità ha per noi un nome proprio: Cristo Gesù, il vero Tempio di Dio. Il Tempio non rappresenta più un luogo dove recarsi, ma dice l’esperienza dell’incontro di Dio con l’uomo, che accade, oggi!
«Lo zelo per la tua casa mi divorerà»: cosa rivela questo sentimento d’ira di Gesù se non l’amore, la passione per la casa del Padre, per il Padre. Significa scegliere liberamente questo amore, aderirvi, lasciarsi divorare da esso. San Tommaso afferma: “Lo zelo indica un amore intenso per cui chi ama intensamente non tollera nulla che contrasti con il suo amore”. La maggior parte delle volte tendiamo a pensare a Gesù come un uomo mite, forte, vincitore. L’evangelista implicitamente sembra quasi farci cogliere la debolezza di Gesù, una debolezza che verrà manifestata a tutti nell’evento del Golgota: «noi annunciamo Cristo Crocifisso (…) ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1, 23.25). Gesù, ἀ-σθενὲς (senza forza), diventa il Tempio di Dio: quella debolezza è il luogo in cui Dio si rende presente. Che cosa può trasformare la debolezza in forza se non la potenza rigeneratrice dell’Amore gratuito del Padre? Anche noi, esortati dall’apostolo Paolo, possiamo dire che la potenza di Dio «si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). Quel Tempio di Dio reso vano dalle logiche umane di guadagno, verrà ricostruito nella persona del Figlio: «Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere». (Gv 2,19). È nel «Tempio del suo corpo» che noi siamo innestati e viviamo in relazione a Lui e con i nostri fratelli: «non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?» (1Cor 6,15).
Es 20,1-17
Sal 18(19)
1Cor 1,22-25
Gv 2,13-25
«Così parla il Signore degli eserciti, Dio d'Israele: Cambiate le vostre vie e le vostre opere, e io vi farò abitare in questo luogo» (Ger 7,3)
All’inizio dell’itinerario quaresimale, accompagnati dall’evangelista Marco, siamo stati condotti dallo Spirito nel deserto, luogo di riscoperta della nostra autenticità; per poi giungere al Tabor nel momento della trasfigurazione, evento luminoso in questo tempo di rinnovamento e conversione. In questa III Domenica di Quaresima con l’evangelista Giovanni saliamo a Gerusalemme, al grande Tempio. Sono i giorni in cui si avvicinava la Pasqua e i Giudei salivano a Gerusalemme «per purificarsi» (Gv 11,55).
La prima parte del brano fa focalizzare il nostro sguardo sulla «purificazione del Tempio». È avvincente notare come da una parte i Giudei arrivano al Tempio per purificarsi mentre Gesù arriva al Tempio e lo purifica. Il Tempio era diventato il centro della vita economica del potere religioso di Gerusalemme: è utile sottolineare quanto anche noi siamo esposti al rischio di “convertire” il culto in mercato, in profitto, uno scambio. In una logica di questo tipo svanisce la bellezza della gratuità che Dio da sempre ci ha testimoniato. E questa testimonianza/dono di gratuità ha per noi un nome proprio: Cristo Gesù, il vero Tempio di Dio. Il Tempio non rappresenta più un luogo dove recarsi, ma dice l’esperienza dell’incontro di Dio con l’uomo, che accade, oggi!
«Lo zelo per la tua casa mi divorerà»: cosa rivela questo sentimento d’ira di Gesù se non l’amore, la passione per la casa del Padre, per il Padre. Significa scegliere liberamente questo amore, aderirvi, lasciarsi divorare da esso. San Tommaso afferma: “Lo zelo indica un amore intenso per cui chi ama intensamente non tollera nulla che contrasti con il suo amore”. La maggior parte delle volte tendiamo a pensare a Gesù come un uomo mite, forte, vincitore. L’evangelista implicitamente sembra quasi farci cogliere la debolezza di Gesù, una debolezza che verrà manifestata a tutti nell’evento del Golgota: «noi annunciamo Cristo Crocifisso (…) ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1, 23.25). Gesù, ἀ-σθενὲς (senza forza), diventa il Tempio di Dio: quella debolezza è il luogo in cui Dio si rende presente. Che cosa può trasformare la debolezza in forza se non la potenza rigeneratrice dell’Amore gratuito del Padre? Anche noi, esortati dall’apostolo Paolo, possiamo dire che la potenza di Dio «si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). Quel Tempio di Dio reso vano dalle logiche umane di guadagno, verrà ricostruito nella persona del Figlio: «Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere». (Gv 2,19). È nel «Tempio del suo corpo» che noi siamo innestati e viviamo in relazione a Lui e con i nostri fratelli: «non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo?» (1Cor 6,15).
Questa relazione suppone un incontro; l’incontro presuppone una libertà capace di scorgere la presenza di Dio nella nostra vita. Ecco il dono della fede: Dio che si rivela liberamente e gratuitamente e l’uomo che altrettanto liberamente e gratuitamente è chiamato ad accogliere. Egli attraverso la sua Parola desidera stringere con noi “un’alleanza” che non ha confini. Radicati in questa relazione con il Signore, occorre ogni giorno, ma soprattutto in questo tempo, fare costantemente memoria di questo incontro e di quanto il Signore ha operato e continua ad operare in noi, ricordandoci quanto Egli stesso ci dice: «Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto, dalla condizione di schiavitù» (Es 20,2). Un Dio che libera è un Dio necessariamente da amare…per sempre.
Paolo Martucci, IV anno
Arcidiocesi di Taranto
paolomartucci09@gmail.com
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