La liturgia della Parola di questa solennità ci porta a riflettere su due atteggiamenti diversi di stare davanti al Signore e di conseguenza di stare con gli altri, con noi stessi e di fronte alla storia di tutti i giorni.
Il primo è quello di Adamo ed Eva narrato nella prima lettura della Genesi. Questi, dopo aver peccato, hanno paura e si nascondono da Dio, si scoprono nudi e ne provano vergogna. È la nudità di chi non accetta il proprio limite e quello dell’altro, tipico di ogni vera relazione. Questo ci impedisce di stare di fronte a Dio, portando i nostri limiti, le nostre colpe, i nostri peccati, con paura e con vergogna, anziché con fiducia in Lui e con affidamento nella Sua misericordia e nel Suo perdono. Per questo risultano vani i tentativi di ricoprire la nudità con le foglie di fico dei nostri sforzi, delle nostre pretese e del nostro confidare unicamente in noi stessi. Tutto questo, in fondo, non fa altro che renderci più nudi, più vergognosi e più paurosi.
Il secondo atteggiamento lo troviamo invece nel Vangelo, nella risposta di Maria che sceglie di non nascondersi, ma di rimanere davanti all’angelo che le parla, senza paura e senza vergogna. Accetta di stare alla presenza di Dio così com’è, assumendo in pieno la propria libertà. Nonostante rimane turbata di fronte alle parole dell’angelo Gabriele, non fugge, anzi, decide di lasciarsi sorprendere, indagando più profondamente quella Parola di Dio che la interpella e la chiama ad obbedire.
Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola. (Lc 1,38)
È la riposta di una umanità libera, che, proprio perché è capace di accogliere la sua nudità, la può collocare davanti a Colui che ha la delicatezza di avvolgere con il suo sguardo di compassione tutto ciò che l’uomo sente come fragilità e debolezza.
Maria ci insegna che è possibile stare così davanti a Dio: con la libertà che deriva soltanto dalla fiducia che la Sua parola possa realizzarsi anche nella nostra vita, nonostante la nostra inadeguatezza.
Siamo ancora prigionieri della nudità vergognosa di una vita senza fede, ripiegata sul confidare solo in noi stessi e nelle nostre sicurezze? Oppure siamo come Maria, in una relazione intessuta di fede nonostante il nostro limite, che però può essere portato senza paura e senza vergogna, sapendo che è il limite a consentire l’affidamento e l’accoglienza di un dono?
Walter Russo, V anno
Arcidiocesi di Bari-Bitonto