Commento al Vangelo della IV domenica di Quaresima
In questa quarta domenica di Quaresima, «domenica Laetare» o «domenica della gioia», in cui il viola dei paramenti si attenua in un rosaceo, tutto è ormai teso verso la Pasqua. L’itinerario quaresimale ci permette di sostare nella gioia che viene da una ritrovata alleanza, dalla consapevolezza che anche nelle situazioni più disperate, il nostro Dio, ricco di misericordia, non cessa di esserci accanto.
«Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “costui accoglie i peccatori e mangia con loro”» (Lc 15,1-2).
È interessante notare la situazione da cui scaturisce il celebre racconto lucano della cosiddetta «parabola del padre misericordioso». La prossimità di Gesù nei confronti dei pubblicani e peccatori è motivo di scandalo per gli uomini religiosi del tempo. Davanti all’idea di un Dio raggiungibile solamente per meriti e sforzi personali, premio per la nostra buona condotta in uno stato di purezza, Gesù ci rivela come non serve essere puri per incontrare Dio, ma è la sua accoglienza a renderci tali. Infatti, Dio è sempre con noi, puri o meno che siamo, e per questo non ci resta che accogliere il suo amore.
È questo il motivo per cui Gesù racconta questa parabola in cui mostra chi è Dio, e lo fa raccontando di due figli che hanno stravolto quasi del tutto il volto del loro padre. Ma è sul padre che vogliamo concentrarci, vero protagonista di questo racconto. È meraviglioso e sconvolgente allo stesso tempo vedere come egli non faccia alcuna resistenza alla richiesta del figlio minore, ma lo lasci partire senza lamentele o dissuasione. L’amore vero si arrende sempre davanti alla libertà, non costringe mai a nulla. Dopo le varie vicissitudini, quando il figlio minore ritorna, il padre lo vede da lontano e non prova rancore o collera, ma sincera compassione. Gli corre incontro, perché ogni distanza deve essere superata al più presto, in quanto «lo perdona prima ancora che apra bocca, di un amore che previene il pentimento. Il tempo della misericordia è l'anticipo» (E. Ronchi). Gli si getta al collo e lo bacia come se nulla fosse accaduto, senza alcun rimprovero, pur giusto e doveroso per le nostre logiche. È questa la misericordia di Dio, capace di superare ogni ostilità e ingratitudine umana, che non guarda alla corrispondenza dell’altro o ai propri interessi, ma ama semplicemente e totalmente. Suo figlio era come morto e ora è ritornato in vita. Il padre ordina ai servi di rivestirlo con abiti nuovi, segno della sua ritrovata acquisizione di figlio, perché solo l’amore rinnova e purifica anche ciò che è più lercio, trasforma e vivifica ciò che è morto. E infine fa festa: il testo dice espressamente che «bisognava far festa» (Lc 15,32): è un obbligo. Il padre non giudica nemmeno il fratello maggiore, ma nel suo desiderio di fare festa con tutti ci ricorda che non può esserci vera figliolanza senza fraternità.
Siamo disposti ad accettare un Dio così esagerato?
La parabola non ci dice se il figlio minore abbia poi capito realmente chi fosse il padre, o se il fratello maggiore abbia avuto il coraggio di entrare a far festa, smettendo i panni dell’offeso, del perfetto e del puro. La parabola resta magnificamente e drammaticamente aperta.
A noi fare la nostra scelta.
Walter Russo
IV anno
Commento al Vangelo della IV domenica di Quaresima
In questa quarta domenica di Quaresima, «domenica Laetare» o «domenica della gioia», in cui il viola dei paramenti si attenua in un rosaceo, tutto è ormai teso verso la Pasqua. L’itinerario quaresimale ci permette di sostare nella gioia che viene da una ritrovata alleanza, dalla consapevolezza che anche nelle situazioni più disperate, il nostro Dio, ricco di misericordia, non cessa di esserci accanto.
«Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: “costui accoglie i peccatori e mangia con loro”» (Lc 15,1-2).
È interessante notare la situazione da cui scaturisce il celebre racconto lucano della cosiddetta «parabola del padre misericordioso». La prossimità di Gesù nei confronti dei pubblicani e peccatori è motivo di scandalo per gli uomini religiosi del tempo. Davanti all’idea di un Dio raggiungibile solamente per meriti e sforzi personali, premio per la nostra buona condotta in uno stato di purezza, Gesù ci rivela come non serve essere puri per incontrare Dio, ma è la sua accoglienza a renderci tali. Infatti, Dio è sempre con noi, puri o meno che siamo, e per questo non ci resta che accogliere il suo amore.
È questo il motivo per cui Gesù racconta questa parabola in cui mostra chi è Dio, e lo fa raccontando di due figli che hanno stravolto quasi del tutto il volto del loro padre. Ma è sul padre che vogliamo concentrarci, vero protagonista di questo racconto. È meraviglioso e sconvolgente allo stesso tempo vedere come egli non faccia alcuna resistenza alla richiesta del figlio minore, ma lo lasci partire senza lamentele o dissuasione. L’amore vero si arrende sempre davanti alla libertà, non costringe mai a nulla. Dopo le varie vicissitudini, quando il figlio minore ritorna, il padre lo vede da lontano e non prova rancore o collera, ma sincera compassione. Gli corre incontro, perché ogni distanza deve essere superata al più presto, in quanto «lo perdona prima ancora che apra bocca, di un amore che previene il pentimento. Il tempo della misericordia è l'anticipo» (E. Ronchi). Gli si getta al collo e lo bacia come se nulla fosse accaduto, senza alcun rimprovero, pur giusto e doveroso per le nostre logiche. È questa la misericordia di Dio, capace di superare ogni ostilità e ingratitudine umana, che non guarda alla corrispondenza dell’altro o ai propri interessi, ma ama semplicemente e totalmente. Suo figlio era come morto e ora è ritornato in vita. Il padre ordina ai servi di rivestirlo con abiti nuovi, segno della sua ritrovata acquisizione di figlio, perché solo l’amore rinnova e purifica anche ciò che è più lercio, trasforma e vivifica ciò che è morto. E infine fa festa: il testo dice espressamente che «bisognava far festa» (Lc 15,32): è un obbligo. Il padre non giudica nemmeno il fratello maggiore, ma nel suo desiderio di fare festa con tutti ci ricorda che non può esserci vera figliolanza senza fraternità.
Siamo disposti ad accettare un Dio così esagerato?
La parabola non ci dice se il figlio minore abbia poi capito realmente chi fosse il padre, o se il fratello maggiore abbia avuto il coraggio di entrare a far festa, smettendo i panni dell’offeso, del perfetto e del puro. La parabola resta magnificamente e drammaticamente aperta.
A noi fare la nostra scelta.
Walter Russo
IV anno
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