Voglio vedere!?
Il brano di Gv 9, 1-41, proposto nella liturgia della IV domenica di quaresima, è collocato all’interno della cosiddetta sezione “del libro dei segni” in cui Gesù, in maniera progressiva, attraverso segni e discorsi rivela il Padre. Il sesto segno, qui raccontato, vede al centro della riflessione il tema della luce e della fragilità umana. Il protagonista di questo segno è un cieco nato, ovvero un uomo che sin dalla nascita non ha mai potuto gustare la bellezza del mondo circostante e questo impedimento è dato, secondo il brano, a causa del peccato.
«Passando vide un uomo cieco dalla nascita» (Gv 9,1). L’incontro tra Gesù e il cieco diviene un evento paradigmatico in quanto, da parte dell’uomo non vedente, questo si trasforma in un nascere nuovamente alla vita. L’esperienza che il cieco vive è salvifica, sanante e creatrice. La sua vita fino a quel momento è vissuta nel buio, non ha mai visto la luce. Il suo cuore è mosso da questo desiderio: acquisire la vista. Egli sa bene che gli occhi permettono di entrare in rapporto con l’altro, sono il luogo della memoria in cui conservare il volto dell’altro. Fino a questo momento il suo unico modo di riconoscere l’altro è basato soltanto nel distinguere suoni e parole a cui cerca di attribuire l’identità di chi gli sta parlando. È in questa sua condizione, di emarginato e malato, che Gesù irrompe nella sua vita trasformando la sua cecità nel luogo della manifestazione del Padre. L’elemosina che il cieco chiede, nell’oggi in cui incontra Gesù, ha un sapore del tutto diverso. Essa non sa più di povertà, di poco, di nulla ma è risignificata dalla potenza e dalla grazia del Figlio del Padre. «Sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco» (Gv 9,6). Gesù non ha paura di coinvolgersi, di sporcarsi le mani con la nostra vita. Ciò che fa al cieco continua a farlo quotidianamente alla nostra povera persona, infatti Egli decide di entrare negli anfratti più tenebrosi della nostra esistenza perché quella luce potesse tornare ad essere guardata e accolta. L’essere toccati dalla grazia di Cristo deve essere per noi motivo di riprendere i passi del nostro cammino verso l’Altro. Non possiamo fermarci a questo incontro, ma c’è bisogno che la nostra fede continui a camminare testimoniando che il nostro limite, il nostro peccato non è nulla davanti al suo amore. Non è il peccato a definire l’uomo ma l’abbandonarsi costantemente in colui che rigenera continuamente alla vita dall’acqua e dallo Spirito (cfr. Gv 3, 1-11). Questa parola di salvezza, oggi, è pronunciata al tuo cuore, alla tua vita di credente perché tu possa sempre avere il coraggio di scendere nelle profondità abissali della tua vita, non da solo ma con Cristo che guida e sorregge i tuoi passi. Non essere come i farisei incredulo di quel tocco sanante di Cristo, ma lasciati trasformare da Lui che per primo ha già posato i suoi occhi su di te perché tu possa incontrarlo e sentirti amato come figlio che viene alla luce e nella luce. Voglio vedere!? Questo è l’atteggiamento di chi non si ferma al piccolo universo che lo circonda ma che con coraggio si lascia trasformare dall’incontro vivo e vero con Lui. Lasciamoci trasformare, facciamo sì che quel nostro vedere si trasformi in credere in Colui che lascia cadere le tenebre del nostro cuore aprendo i nostri occhi alla vita. «I suoi occhi sono aperti sul mondo, le sue pupille scrutano ogni uomo» (Sal 10, 4).
Raffaele Bucci, V anno
Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi