È solo grazie a Gesù che la consapevolezza di essere prima di tutto figli, non “dei”, ci è stata donata e, con essa, quella dell’inutilità di possedere perfino il mondo intero se non si “possiede”, cioè si è veramente, se stessi. Nel segreto ci viene donato il tutto, il compimento della nostra vita, la risposta al bisogno che siamo, per cui il mondo intero esiste. Nel rapporto con il Padre, che vede nel segreto, è tutta la mia consistenza, la consolazione capace di reggere davanti ad ogni sfida quotidiana, ogni fatica e dubbio. La ricompensa che non annulla le contrarietà ma ci rende, come abbiamo vissuto almeno qualche volta, diversi nell’affrontale.
Diviene così naturale rivolgere a noi stessi l’appello accorato di Paolo: «lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20), quel Dio che «si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo.» (Gl 2,18).
A volte mi ritrovo a sognare “universi paralleli”, come il mondo o la mia vita dovrebbero andare, salvo poi riaccorgermi, in momenti di maggior sano realismo, di quanto il mio rapporto con il Padre si giochi, in realtà, nell’istante che passa, nell’ordinario della mia cameretta, nell’umiltà della mia vita così come è. Pochi mesi fa, un anziano sacerdote missionario così ha risposto ad una domanda riguardo la fatica di vivere questo tempo di pandemia, quando il “sì” quotidiano a Dio nelle diverse circostanze sembra quasi inutile: «(…) Nell’accadere di questo istante presente chi è che costruisce? È la mia capacità, genialità, operatività? No: io non ho il dominio su ciò che accade nell’istante presente dal momento che esso “passa” (…) È solo il potere infinito di Dio che costruisce (…) [Essere utile per le persone, il mondo] è affrontare tutto come una imprevista possibilità di sintonizzare il clima della nostra vita particolare e comunitaria. Non basandoci sull’esteriorità - per quanto impressionante possa sembrare - ma sul Mistero profondo della presenza di Dio in tutto e in tutti.» (https://it.clonline.org/storie/mondo/2020/06/05/bernareggi-lettera-rosetta).
Grazie a questa Presenza concretissima ed intima, più intima a noi di noi di noi stessi, ci è possibile essere liberi dal parere altrui e dalle nostre attese/pretese su noi stessi; è in questo impoverimento di ogni nostro schema, in questo appoggiarsi totalmente al Padre la più grande ricchezza, perché lì è la possibilità di una vita vera.
Roberto Grilletti, IV anno
Arcidiocesi di Bari-Bitonto
Gl 2,12-18
Sal 50
2Cor 5,20-6,2
Mt 6, 1-6; 16-18
«E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà»
La ricompensa del Signore, la ricompensa del Padre motiva, ultimamente, la nostra fede, la sequela, la preghiera, la vita stessa: «Infatti, quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?» (Lc 9, 23-26). Un guadagno “interiore”, certamente, non quantificabile, così smaccatamente contrario a quanto sembra concreto e tangibile – «Perciò io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete o berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?» (Mt 6, 24-24).
Come può sostenersi, davvero, una simile pretesa? Come è possibile che valga davvero la pena assecondare il desiderio di bene che ci sorprendiamo dentro, quella “nostalgia di casa” che avvertiamo in noi negli attimi di maggior coscienza, almeno quando, vinti dalla nostra fragilità, deponiamo le armi con cui vorremmo controllare noi le cose, la nostra vita, quasi fossimo manager di noi stessi? Di quale ricompensa si tratta, in fin dei conti? Evidentemente, più dell’ammirazione altrui, più del mio tornaconto, del mio autocompiacimento, più importante di tutto ciò è la vita stessa, la nostra vita, la vita di ciascuno che, per Gesù, rimanda direttamente allo sguardo vigile e premuroso del Padre, una Presenza sicura, la paternità da cui ogni istante siamo generati. Solo questo rapporto può veramente motivare l’”opzione fondamentale della nostra vita” (o quanto meno il tentativo di rimanervi fedele, anche a fatica), ovvero la scelta per la verità di noi stessi.
È solo grazie a Gesù che la consapevolezza di essere prima di tutto figli, non “dei”, ci è stata donata e, con essa, quella dell’inutilità di possedere perfino il mondo intero se non si “possiede”, cioè si è veramente, se stessi. Nel segreto ci viene donato il tutto, il compimento della nostra vita, la risposta al bisogno che siamo, per cui il mondo intero esiste. Nel rapporto con il Padre, che vede nel segreto, è tutta la mia consistenza, la consolazione capace di reggere davanti ad ogni sfida quotidiana, ogni fatica e dubbio. La ricompensa che non annulla le contrarietà ma ci rende, come abbiamo vissuto almeno qualche volta, diversi nell’affrontale.
Diviene così naturale rivolgere a noi stessi l’appello accorato di Paolo: «lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20), quel Dio che «si mostra geloso per la sua terra e si muove a compassione del suo popolo.» (Gl 2,18).
A volte mi ritrovo a sognare “universi paralleli”, come il mondo o la mia vita dovrebbero andare, salvo poi riaccorgermi, in momenti di maggior sano realismo, di quanto il mio rapporto con il Padre si giochi, in realtà, nell’istante che passa, nell’ordinario della mia cameretta, nell’umiltà della mia vita così come è. Pochi mesi fa, un anziano sacerdote missionario così ha risposto ad una domanda riguardo la fatica di vivere questo tempo di pandemia, quando il “sì” quotidiano a Dio nelle diverse circostanze sembra quasi inutile: «(…) Nell’accadere di questo istante presente chi è che costruisce? È la mia capacità, genialità, operatività? No: io non ho il dominio su ciò che accade nell’istante presente dal momento che esso “passa” (…) È solo il potere infinito di Dio che costruisce (…) [Essere utile per le persone, il mondo] è affrontare tutto come una imprevista possibilità di sintonizzare il clima della nostra vita particolare e comunitaria. Non basandoci sull’esteriorità - per quanto impressionante possa sembrare - ma sul Mistero profondo della presenza di Dio in tutto e in tutti.» (https://it.clonline.org/storie/mondo/2020/06/05/bernareggi-lettera-rosetta).
Grazie a questa Presenza concretissima ed intima, più intima a noi di noi di noi stessi, ci è possibile essere liberi dal parere altrui e dalle nostre attese/pretese su noi stessi; è in questo impoverimento di ogni nostro schema, in questo appoggiarsi totalmente al Padre la più grande ricchezza, perché lì è la possibilità di una vita vera.
Roberto Grilletti, IV anno
Arcidiocesi di Bari-Bitonto
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