Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14
La Liturgia della Parola di questa santissima notte, sembra davvero rispecchiare l’attuale situazione mondiale: in quel popolo che camminava nelle tenebre di cui parla il profeta Isaia nella Prima Lettura, non possiamo non intravedere il popolo dell’umanità che sta attraversando uno dei tratti più bui della storia, in attesa di tornar a riveder le stelle, come direbbe il Sommo. Una situazione che chiama l’uomo a fare i conti con fragilità e precarietà, caratteristiche proprie della sua natura che tante volte dimentica o smentisce. Precarietà da cui non è esente nemmeno la Santa Famiglia di Nazareth, in viaggio verso Betlemme per il censimento di Augusto. Giuseppe e la sua sposa in attesa affrontano questo lungo viaggio intriso di stanchezza, fatica, fino a fare esperienza del rifiuto, di assenza di compassione anche davanti ad una donna in attesa. La famiglia di Nazareth diviene così solacium migrantium (Papa Francesco), modello e speranza di tutti coloro che vivono particolari sfide nella vita.
Si compirono per lei i giorni del parto (Lc 2,6), nella precarietà di una stalla, che sicuramente Giuseppe, padre dal coraggio creativo ha sistemato e reso più accogliente possibile per la nascita del Figlio di Dio (cfr. FRANCESCO, Patris corde).
Il Messia, atteso dal popolo di Israele e annunziato dai profeti si fa uomo sotto gli occhi increduli e commossi di due giovani genitori, nella più alta forma di fragilità del mondo, avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia (cfr. Lc 2,7) in una stalla che diventa richiamo e segno di speranza per ogni uomo.
Is 9,1-6
Sal 95
Tt 2,11-14
Lc 2,1-14
La Liturgia della Parola di questa santissima notte, sembra davvero rispecchiare l’attuale situazione mondiale: in quel popolo che camminava nelle tenebre di cui parla il profeta Isaia nella Prima Lettura, non possiamo non intravedere il popolo dell’umanità che sta attraversando uno dei tratti più bui della storia, in attesa di tornar a riveder le stelle, come direbbe il Sommo. Una situazione che chiama l’uomo a fare i conti con fragilità e precarietà, caratteristiche proprie della sua natura che tante volte dimentica o smentisce. Precarietà da cui non è esente nemmeno la Santa Famiglia di Nazareth, in viaggio verso Betlemme per il censimento di Augusto. Giuseppe e la sua sposa in attesa affrontano questo lungo viaggio intriso di stanchezza, fatica, fino a fare esperienza del rifiuto, di assenza di compassione anche davanti ad una donna in attesa. La famiglia di Nazareth diviene così solacium migrantium (Papa Francesco), modello e speranza di tutti coloro che vivono particolari sfide nella vita.
Si compirono per lei i giorni del parto (Lc 2,6), nella precarietà di una stalla, che sicuramente Giuseppe, padre dal coraggio creativo ha sistemato e reso più accogliente possibile per la nascita del Figlio di Dio (cfr. FRANCESCO, Patris corde).
Il Messia, atteso dal popolo di Israele e annunziato dai profeti si fa uomo sotto gli occhi increduli e commossi di due giovani genitori, nella più alta forma di fragilità del mondo, avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia (cfr. Lc 2,7) in una stalla che diventa richiamo e segno di speranza per ogni uomo.
La nascita di questo bambino porta con sé un carico di gioia incontenibile, nei cieli e sulla terra, festa per l’esercito celeste e la creazione tutta. I primi destinatari di questa profonda gioia sono i pastori: uomini semplici e poveri, nomadi e precari, proprio per questo capaci di accogliere con fede e stupore il grande annuncio della nascita del Salvatore Gesù Cristo.
Nella tradizione presepistica napoletana, tra i tanti personaggi popolari, spicca la figura di Benino, il pastorello dormiente. Posto nella zona più lontana dalla natività, sembra sognare il presepio e tutte le sue vicende. Occhio a non svegliarlo! Il suo risveglio farebbe svanire la magia del presepe.
Il suggestivo paradosso che ci offre il Vangelo lucano è proprio questo: l’angelo del Signore sveglia i pastori dormienti per permettere loro di ammirare ad occhi aperti la meraviglia del vero presepio. Scrive don Gennaro Matino nel suo romanzo Il pastore della meraviglia: “Benino non dorme, ma sogna. Vede, in un groviglio di personaggi e avvenimenti confusi, un bambino che guida gli uomini alla grande scoperta e a nuove possibilità”. Quel bambino nascendo ha dato tutto se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formare per sé un popolo puro che gli appartenga, pieno di zelo per le opere di bene (Tt 2,14). L’umanità ha bisogno di appartenenza, ha bisogno di opere buone, solidarietà. Gesù è venuto fragile bambino per farci comprendere che siamo fragili perché preziosi. Sia Gesù la vera luce che il mondo attende e di cui ha realmente bisogno, la vera luce che guida il verso una nuova possibilità. Ringraziamo il Padre per questo dono immenso con le parole di Madre Maria Cànopi: Gloria a Te, o Padre che inviti umili e poveri a vedere e udire le cose meravigliose che tu compi nel silenzio della notte, lontano dal tumulto dei potenti. Gloria a Te, che per nutrire l’umanità sfinita poni il tuo unico Figlio in una mangiatoia e lo doni a noi quale Pane di vita eterna, sacramento di salvezza e di pace. È davvero Natale, auguri!
Michele Coppolecchia, IV anno
Arcidiocesi di Manfredonia – Vieste – San Giovanni Rotondo
mikelecoppy@gmail.com
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