Testi della Liturgia della Parola
Es 34,4-6.8-9
Dn 3,52-56
2Cor 13,11-13
Gv 3,16-18
La solennità che celebriamo ci aiuta a riflettere sulla nostra umanità e sulle nostre relazioni, su quanto ci teniamo all’altro, su quanto siamo veri nei nostri rapporti, sull’autenticità della nostra testimonianza di credenti che hanno incontrato il Signore nella propria vita. Nel mistero trinitario contempliamo le tre persone divine – Padre, Figlio e Spirito Santo – in una relazione d’amore e di dono tra loro.
La prima lettura ci fa contemplare Dio che chiama Mosè sul monte Sinai per stipulare l’Alleanza. Essa è il segno del “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6) per Israele, popolo dalla dura cervice, che a volte risulta infedele nella storia della salvezza. Dall’altra parte contempliamo l’atteggiamento di Mosè che riconosce il Dio della grazia e fa propri i suoi sentimenti per mantenere viva la relazione con Israele.
Il vangelo di oggi dice: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). Nell’incarnazione del Figlio, Dio esce da sé per essere vicino all’umanità proprio, per farsi l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Nel vangelo di Giovanni, Gesù rivela sempre il volto del Padre e attraverso la sua vita, il suo ministero, rimanda sempre a Lui. Contemplando la relazione tra il Padre e il Figlio siamo chiamati anche noi a uscire da noi stessi, per farci vicini, prossimi ai nostri fratelli nutrendo “gli stessi sentimenti” (2 Cor 13,11) dell’altro. Ogni volta che viene a mancare l’amore viene meno la relazione e, viceversa, quando manca la relazione non c’è amore. L’amore non è chiusura nella propria tristezza, non è solitudine nei propri tentativi di successo in modo individuale ed egoista, non è indifferenza al tempo, alla cultura e alla storia. Nell’amore non ci sono vie di fuga, né falsità. L’amore ci deve sempre aprire all’altro. È come una porta aperta che sa accogliere ogni uomo,in qualsiasi condizione di vita, e sa uscire da se stesso per andare incontro all’altro in modo empatico avendo gli stessi sentimenti. Compassione significa infatti “sentire-con, patire insieme”.
Cristo stesso trova la sua ragione di vivere nella relazione con il Padre per la forza dello Spirito Santo. Non vive per se stesso, ma è capace di partire dalla relazione col Padre per vivere bene la sua missione con gli uomini di ogni tempo. Gesù si lascia guidare dallo Spirito che suscita e accende in modo autentico l’amore: egli così si rende presente , si offre come dono di salvezza per l’umanità. Lo Spirito Santo è, secondo Sant’Agostino, l’amore tra il Padre e il Figlio che porta l’uomo sempre più verso la configurazione divina. Noi dobbiamo “solo” lasciarci trasformare dal didentro, facendo germogliare l’unione in noi e fuori di noi.
Testi della Liturgia della Parola
Es 34,4-6.8-9
Dn 3,52-56
2Cor 13,11-13
Gv 3,16-18
La solennità che celebriamo ci aiuta a riflettere sulla nostra umanità e sulle nostre relazioni, su quanto ci teniamo all’altro, su quanto siamo veri nei nostri rapporti, sull’autenticità della nostra testimonianza di credenti che hanno incontrato il Signore nella propria vita. Nel mistero trinitario contempliamo le tre persone divine – Padre, Figlio e Spirito Santo – in una relazione d’amore e di dono tra loro.
La prima lettura ci fa contemplare Dio che chiama Mosè sul monte Sinai per stipulare l’Alleanza. Essa è il segno del “Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà” (Es 34,6) per Israele, popolo dalla dura cervice, che a volte risulta infedele nella storia della salvezza. Dall’altra parte contempliamo l’atteggiamento di Mosè che riconosce il Dio della grazia e fa propri i suoi sentimenti per mantenere viva la relazione con Israele.
Il vangelo di oggi dice: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito” (Gv 3,16). Nell’incarnazione del Figlio, Dio esce da sé per essere vicino all’umanità proprio, per farsi l’Emmanuele, il Dio-con-noi. Nel vangelo di Giovanni, Gesù rivela sempre il volto del Padre e attraverso la sua vita, il suo ministero, rimanda sempre a Lui. Contemplando la relazione tra il Padre e il Figlio siamo chiamati anche noi a uscire da noi stessi, per farci vicini, prossimi ai nostri fratelli nutrendo “gli stessi sentimenti” (2 Cor 13,11) dell’altro. Ogni volta che viene a mancare l’amore viene meno la relazione e, viceversa, quando manca la relazione non c’è amore. L’amore non è chiusura nella propria tristezza, non è solitudine nei propri tentativi di successo in modo individuale ed egoista, non è indifferenza al tempo, alla cultura e alla storia. Nell’amore non ci sono vie di fuga, né falsità. L’amore ci deve sempre aprire all’altro. È come una porta aperta che sa accogliere ogni uomo,in qualsiasi condizione di vita, e sa uscire da se stesso per andare incontro all’altro in modo empatico avendo gli stessi sentimenti. Compassione significa infatti “sentire-con, patire insieme”.
Cristo stesso trova la sua ragione di vivere nella relazione con il Padre per la forza dello Spirito Santo. Non vive per se stesso, ma è capace di partire dalla relazione col Padre per vivere bene la sua missione con gli uomini di ogni tempo. Gesù si lascia guidare dallo Spirito che suscita e accende in modo autentico l’amore: egli così si rende presente , si offre come dono di salvezza per l’umanità. Lo Spirito Santo è, secondo Sant’Agostino, l’amore tra il Padre e il Figlio che porta l’uomo sempre più verso la configurazione divina. Noi dobbiamo “solo” lasciarci trasformare dal didentro, facendo germogliare l’unione in noi e fuori di noi.
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