“Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?". Questa domanda, che Gesù pone a Marta, è il centro di tutto il brano evangelico ma, potremmo dire, è anche la domanda fondamentale dell’intero Vangelo e della nostra vita di fede. Certo è facile dare subito una risposta, “Si, io credo” ma quanto è difficile rendere questa affermazione parte integrante della nostra vita, ovvero saperla vivere pienamente? E’ interessante notare che sin dai tempi antichi questo Vangelo veniva letto ai catecumeni poco prima che vivessero la Settimana Santa con il successivo rito del battesimo; questo perché è proprio la fede della risurrezione in Cristo che permette il passaggio dal dominio della carne a quello dello Spirito, che S. Paolo ci spiega nella II lettura. Il credente, mosso dallo Spirito, non vive la morte come una tragica fine ma come un inizio a qualcosa di più grande consapevole che ha già ricevuto lo Spirito che ci farà rivivere, come si legge nella I lettura. Se leggiamo il Vangelo notiamo anche che proprio nel segno che più manifesta la sua divinità, la risurrezione di uomo, Gesù manifesta la sua umanità, nel pianto per la morte di Lazzaro; questo perché, in Gesù, non può darsi la piena umanità senza la piena divinità e viceversa, è veramente uomo ed è veramente Dio proprio perché vicino all’uomo anche nel momento più buio, quello della morte, e capace di rialzarlo.
Come in Luca anche qui vediamo una differenza tra Marta e Maria; entrambe esordiscono con la stessa frase “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!” ma notiamo subito una differenza in quello che fanno dopo. Marta aggiunge “Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà”; questa è una frase che punta sul piano della conoscenza, Marta sa che Gesù può farlo ma ci crede? Gesù subito punta subito sulla fede e comincia un breve discorso “teologico” che porterà alla domanda posta all’inizio della nostra riflessione. Finito il dialogo sembra avvenire tra Marta e Maria quello che avviene quando apprendiamo qualcosa che ci cambia la vita. Appena l’intelligenza coglie qualcosa di fondamentale subito la porta al cuore che ne coglie anche esso l’importanza e che succede? Avviene quello che fa Maria, ovvero va e si getta ai piedi del Signore con la stessa frase della sorella; non è più una frase basata sulla conoscenza ma una preghiera di lamento e affidamento a Dio. Gesù piange, forse una delle scene più toccanti del Vangelo; Egli, che sa cosa sarebbe successo, non disprezza il momento del dolore ma lo vive fino in fondo e, come fa con Marta e Maria, lo fa anche con noi. Pensare ad un Dio lontano e che non vive con noi non è cristiano, Egli è con noi tutti i giorni, piange con noi, sorride con noi, fatica con noi; dimenticarsi questo ridurrebbe la nostra fede a un bellissimo sistema di pensiero e non essere più l’incontro decisivo con Cristo risorto e vivo in noi e tra noi per mezzo dello Spirito. Il discorso con il Padre sembra per Gesù quasi un'aggiunta inutile ed in effetti potremmo dire che per Lui, che è sempre in unione con il Padre, è inutile quasi chiedere un miracolo al Padre ma lo fa per noi, per ricordarci che Lui è il dono supremo che il Padre ha per noi; nessuno è così peccatore da non essere raggiunto da Cristo ed essere ricondotto al Padre. Ultima scena è proprio la risurrezione di Lazzaro; egli è avvolto, quasi bloccato, e Gesù ordina di scioglierlo, di liberarlo. La fede in Cristo libera dalla paura della morte, dalla paura di non essere abbastanza, dalla paura di essere destinati ad essere schiavi del peccato. Niente è più forte dell’amore di Dio per noi e niente e nessuno ci potrà strappare da quest’amore. Lazzaro morirà di nuovo, perchè è solo tornato in vita e non è ancora la risurrezione finale che vivrà Gesù, ma, con Maria, Marta, tutti quelli che hanno creduto e anche con noi che crediamo oggi, siamo stati liberati dalla paura e siamo chiamati a rendere la nostra fede qualcosa di sempre più incarnato nella nostra vita, e non solo qualcosa che rimane intellettuale, e, dopo aver fatto questo, annunciare agli altri la vita nuova che la fede in Lui ci ha dato.
Giuseppe Basile, V anno
Arcidiocesi di Taranto