Altrettanto interessante e decisiva è la reazione di Gesù, che Marco non evita di descrivere anche nei tratti umani: «ne ebbe compassione», allora «lo toccò e gli disse: “lo voglio, sii purificato!». Gesù mostra la natura di Dio, che è compassione verso di noi, anche verso le nostre infermità, infatti non si sottrae ad una vicinanza e ad una guarigione. Gesù ci invita anche oggi a scorgere nella folla il Suo volto capace di prendersi cura di noi, di cogliere quello sguardo di tenerezza che non si scandalizza di ciò che scandalizza tutti, e tante volte anche se stessi.
Gesù chiede di non dire nulla a nessuno, ma il guarito non può non farlo, e si mise a «divulgare il fatto». Non si può non gridare al mondo intero la gioia di essere stato guardato, di essere stato accolto e di essere stato guarito. Sarebbe una bella immagine quella di “Chiesa fatta da guariti” che non fanno altro che gridare a tutti l’esistenza di uno sguardo di amore che è veramente capace di salvare la vita; e quindi di portarlo, perché la Chiesa non è solo annunciatrice ma anche portatrice di una salvezza. Dice San Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cr 4,7); quindi nella nostra umanità e fragilità può emergere l’annuncio del guarito che è per tutti.
Oggi più che mai, nei tempi bui della pandemia, abbiamo tutti bisogno di riscoprire la luce di questo sguardo nuovo sulla vita, uno sguardo di tenerezza e speranza.
Emanuele Granatiero, IV anno
Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
Lv 13,1-2.45-46
Sal 31
1Cor 10,31-11,1
Mc 1,40-45
Il brano del Vangelo di questa domenica (VI del Tempo Ordinario) è posto dall’Evangelista Marco a conclusione della prima parte della missione di Gesù, che è solitamente chiamata "giornata tipo", cioè una descrizione di quello che Gesù normalmente faceva in Galilea, di città in città, di villaggio in villaggio. Si dice che insegnava con autorità, che scacciava demoni, che stava con i suoi amici a cena, che si prendeva cura degli ammalati e ogni mattina incominciava la giornata con la preghiera, cioè dal rapporto con il Padre (cfr. Mc 1,14,39). Quindi a termine di questa narrazione viene proposta la pericope della “purificazione del lebbroso”, che segna il vertice delle azioni di Gesù. Infatti c’è incremento della manifestazione della potenza nei fatti miracolosi: dalla liberazione dalla febbre per la suocera di Pietro (Mc 1,31), alle «varie malattie» (Mc 1,34), fino alla malattia più grave del tempo: la lebbra. Questa non era un semplice male fisico, ma, secondo la mentalità dell’AT, era ritenuta la piaga con cui YHWH puniva i peccatori. Nella prima lettura, tratta dal libro del Levitico (Lv 13,1-2.45-46), si evidenzia inoltre che venivano date indicazioni molto precise su come “trattare” un lebbroso: doveva stare solo, abitare fuori dall'accampamento, e gridare "impuro! Impuro!" Allora la richiesta del lebbroso «se vuoi puoi guarirmi» rappresenta già un atto di grande libertà: chiedere aiuto e sperare in una guarigione che sarebbe andata oltre ogni immaginazione. Chi era allora quest’uomo Gesù a cui si poteva chiedere tanto, con cui ci si poteva non vergognare della propria condizione, con il quale si poteva rischiare tutto il proprio bisogno di salvezza? Oggi, quanti vivono con l'idea di essere stati puniti da Dio? Quanti vivono la solitudine e l’emarginazione, pensando che il proprio bisogno, la propria vita non interessi a nessuno? I richiami di Papa Francesco in merito sono molteplici, soprattutto in riferimento alla “cultura dello scarto”.
Altrettanto interessante e decisiva è la reazione di Gesù, che Marco non evita di descrivere anche nei tratti umani: «ne ebbe compassione», allora «lo toccò e gli disse: “lo voglio, sii purificato!». Gesù mostra la natura di Dio, che è compassione verso di noi, anche verso le nostre infermità, infatti non si sottrae ad una vicinanza e ad una guarigione. Gesù ci invita anche oggi a scorgere nella folla il Suo volto capace di prendersi cura di noi, di cogliere quello sguardo di tenerezza che non si scandalizza di ciò che scandalizza tutti, e tante volte anche se stessi.
Gesù chiede di non dire nulla a nessuno, ma il guarito non può non farlo, e si mise a «divulgare il fatto». Non si può non gridare al mondo intero la gioia di essere stato guardato, di essere stato accolto e di essere stato guarito. Sarebbe una bella immagine quella di “Chiesa fatta da guariti” che non fanno altro che gridare a tutti l’esistenza di uno sguardo di amore che è veramente capace di salvare la vita; e quindi di portarlo, perché la Chiesa non è solo annunciatrice ma anche portatrice di una salvezza. Dice San Paolo: «Noi abbiamo questo tesoro in vasi di creta, perché appaia che questa potenza straordinaria viene da Dio e non da noi» (2Cr 4,7); quindi nella nostra umanità e fragilità può emergere l’annuncio del guarito che è per tutti.
Oggi più che mai, nei tempi bui della pandemia, abbiamo tutti bisogno di riscoprire la luce di questo sguardo nuovo sulla vita, uno sguardo di tenerezza e speranza.
Emanuele Granatiero, IV anno
Arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo
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