Testi della Liturgia della Parola
Lv 19,1-2.17-18
Sal 102
1Cor 3,16-23
Mt 5,38-48
Già da domenica scorsa la liturgia ci propone la lettura dei versetti conclusivi del capitolo 5 del Vangelo di Matteo riguardanti il discorso sul compimento della legge inserito nel più ampio discorso della montagna (Mt 5-7).
La chiave di lettura di questa pericope ce la fornisce lo stesso Matteo al v. 17: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire ma a dare pieno compimento».
Gesù, pertanto, con le sei innovazioni non abolisce la legge mosaica ma ci dona una chiave ermeneutica nuova: l’amore. Non si tratta più di aderire ad una legge sterile che imbriglia il cuore, ma di aderire alla stessa legge con un orientamento diverso, che tiene conto di chi ho dinanzi a me, della dignità dell’altro. Un orientamento che mi ricorda che dinanzi a me ho una persona, un fratello, una sorella, che innanzitutto è da amare.
Le due innovazioni di questa domenica riguardano la legge del taglione e il rapporto con i propri nemici. La legge del taglione (Es 21,24; Lv 24,20) regolava i rapporti. Alla violenza si ha diritto di rispondere con una violenza di pari proporzione. Serve per mantenere o ristabilire un equilibrio che sembra logico. Gesù rompe questa logica che fa parte anche di noi. Adotto la legge del taglione quando nel quotidiano faccio qualcosa aspettandomi un contraccambio quantificato alla pari.
La logica che ci viene proposta oggi è la logica dell’amore gratuito, generoso e sovrabbondante. Alla violenza rispondo non con la semplice non-violenza ma con l’amore. È in quest’ottica che porgo l’altra guancia, la guancia dell’amore! Così, amare il nemico significa allargare i confini del nostro amore cercando di includere tutti, evitando la selettività. Amando il nemico, gli offro anche una possibilità di riscatto. Sicuramente ci sembra una cosa difficilissima da fare, ma Gesù ci consiglia da dove iniziare: dalla preghiera! Inizio ad amare chi mi odia pregando per lui, affidandolo alla misericordia del Padre, perché possa convertire il suo cuore e io il mio. Quindi al nemico non mi oppongo, provo ad amarlo. Mentre amo il nemico, mi oppongo al male. Il male non coincide con il malvagio, così come il peccato non coincide con il peccatore. Cristo stesso non condanna il peccatore, ma il peccato.
È a partire da un amore così sovrabbondante che riveliamo il nostro essere figli di Dio. Siamo figli perché amiamo, perché abbracciamo la logica del suo amore totale, oblativo, che fa sorgere il sole e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, sui buoni e sui cattivi, su tutti.
Il versetto finale ci invita alla perfezione. Una perfezione che è ben distante dalla perfezione che spesso ricerchiamo, a volte narcisisticamente. Essere perfetti come il Padre nostro che è nei cieli significa essere perfetti nella carità, nell’amore. Avere, cioè, come obiettivo e orizzonte della nostra vita proprio un amore senza misura, che abbraccia tutti. Un amore che si diffonde come profumo buono nei luoghi che frequentiamo, un amore che ci rende sale e luce del mondo: capace di dare sapore, il sapore di Cristo, alla vita delle persone che incontriamo; capace di portare un raggio di luce, della Sua Luce, nella notte di chi è solo e smarrito. È in questa logica, che è illogica, che siamo beati!
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Lv 19,1-2.17-18
Sal 102
1Cor 3,16-23
Mt 5,38-48
Già da domenica scorsa la liturgia ci propone la lettura dei versetti conclusivi del capitolo 5 del Vangelo di Matteo riguardanti il discorso sul compimento della legge inserito nel più ampio discorso della montagna (Mt 5-7).
La chiave di lettura di questa pericope ce la fornisce lo stesso Matteo al v. 17: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire ma a dare pieno compimento».
Gesù, pertanto, con le sei innovazioni non abolisce la legge mosaica ma ci dona una chiave ermeneutica nuova: l’amore. Non si tratta più di aderire ad una legge sterile che imbriglia il cuore, ma di aderire alla stessa legge con un orientamento diverso, che tiene conto di chi ho dinanzi a me, della dignità dell’altro. Un orientamento che mi ricorda che dinanzi a me ho una persona, un fratello, una sorella, che innanzitutto è da amare.
Le due innovazioni di questa domenica riguardano la legge del taglione e il rapporto con i propri nemici. La legge del taglione (Es 21,24; Lv 24,20) regolava i rapporti. Alla violenza si ha diritto di rispondere con una violenza di pari proporzione. Serve per mantenere o ristabilire un equilibrio che sembra logico. Gesù rompe questa logica che fa parte anche di noi. Adotto la legge del taglione quando nel quotidiano faccio qualcosa aspettandomi un contraccambio quantificato alla pari.
La logica che ci viene proposta oggi è la logica dell’amore gratuito, generoso e sovrabbondante. Alla violenza rispondo non con la semplice non-violenza ma con l’amore. È in quest’ottica che porgo l’altra guancia, la guancia dell’amore! Così, amare il nemico significa allargare i confini del nostro amore cercando di includere tutti, evitando la selettività. Amando il nemico, gli offro anche una possibilità di riscatto. Sicuramente ci sembra una cosa difficilissima da fare, ma Gesù ci consiglia da dove iniziare: dalla preghiera! Inizio ad amare chi mi odia pregando per lui, affidandolo alla misericordia del Padre, perché possa convertire il suo cuore e io il mio. Quindi al nemico non mi oppongo, provo ad amarlo. Mentre amo il nemico, mi oppongo al male. Il male non coincide con il malvagio, così come il peccato non coincide con il peccatore. Cristo stesso non condanna il peccatore, ma il peccato.
È a partire da un amore così sovrabbondante che riveliamo il nostro essere figli di Dio. Siamo figli perché amiamo, perché abbracciamo la logica del suo amore totale, oblativo, che fa sorgere il sole e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, sui buoni e sui cattivi, su tutti.
Il versetto finale ci invita alla perfezione. Una perfezione che è ben distante dalla perfezione che spesso ricerchiamo, a volte narcisisticamente. Essere perfetti come il Padre nostro che è nei cieli significa essere perfetti nella carità, nell’amore. Avere, cioè, come obiettivo e orizzonte della nostra vita proprio un amore senza misura, che abbraccia tutti. Un amore che si diffonde come profumo buono nei luoghi che frequentiamo, un amore che ci rende sale e luce del mondo: capace di dare sapore, il sapore di Cristo, alla vita delle persone che incontriamo; capace di portare un raggio di luce, della Sua Luce, nella notte di chi è solo e smarrito. È in questa logica, che è illogica, che siamo beati!
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