La Cura per il fratello
Siamo giunti all’VIII Domenica del Tempo ordinario, ultima prima della Quaresima che inizierà mercoledì prossimo con l’austero rito delle Ceneri.La liturgia del giorno ha come sfondo l’immagine dell’albero che è il filo conduttore in tutte le letture proposte. Più volte nella Sacra Scrittura ci imbattiamo in questa immagine, già a partire dalle sue prime pagine fino all’Apocalisse. L’albero è il simbolo dell’uomo saggio, di colui che ripone la sua fede e la sua speranza in Dio; egli “è come albero piantato lunghi corsi d’acqua” (Sal 1,3).
Ogni discepolo del Signore è chiamato ad essere quell’albero in grado di portare buoni frutti, ma perché ciò accada è fondamentale la giusta disposizione del cuore da cui l’uomo “trae fuori il bene” (Lc 6,45). Proprio nel cuore, secondo l’interpretazione biblica, giacciono i sentimenti di ciascuno; questa è la sede delle decisioni che orientano la vita di ogni uomo. Ogni discepolo di Gesù deve essere luce per gli altri, deve avere un cuore che sovrabbondi di ogni bene. Questo sovrabbondare si manifesta poi nelle parole e nelle azioni e il Signore in questa domenica ci mette in guardia proprio dalle nostre parole e dalle nostre azioni richiamandoci alla coerenza. Mettersi alla sequela del Maestro significa anche prendersi cura del fratello, correggere coloro che sbagliano. Ma la correzione fraterna il più delle volte cela due pericoli. Il primo è quello di misurare con una misura inadeguata e questo è descritto in colori vivaci con l’immagine della pagliuzza e della trave. I minimi difetti dell’altro sono considerati grandi; i propri se pur gravi appaiono invece piccoli. Il secondo pericolo della correzione fraterna consiste nell’ipocrisia.
E su quest’ultima richiamo l’adagio dei nostri nonni attuale sempre, essere ipocrita è “fare come ti dico ma non come faccio”. Da ciò comprendiamo come sia necessario prima correggere sé stessi. Quest’ultimo pericolo lo si supera quando la condotta esteriore coincide con l’intenzione interiore. Il Signore, dunque, ci invita a partire dalla nostra interiorità; quando l’uomo riconosce innanzi tutto i peccati commessi nel suo cuore, quando riconosce le sue fragilità e i sui limiti allora può avvicinarsi al fratello ed attuare il Regno di Dio. Abbiamo una grande responsabilità verso gli altri che molte volte dimentichiamo e come Caino diciamo “sono forse io il custode di mio fratello?” (Gn 4,9). La cura verso ciascuno dei fratelli che il Signore ci affida deve esplicitarsi nel nostro porci accanto, nell’essere non guide cieche, ma autentici compagni di strada perché solo in questo modo l’uomo può conoscere sé stesso e l’altro. Il vivere in questo modo comporta una certa fatica ma se vissuta nel Signore “non è vana” (1Cor 15,58)
Lorenzo Montenegro, IV anno
Immagine di Dianella Fabbri
La Cura per il fratello
Siamo giunti all’VIII Domenica del Tempo ordinario, ultima prima della Quaresima che inizierà mercoledì prossimo con l’austero rito delle Ceneri.La liturgia del giorno ha come sfondo l’immagine dell’albero che è il filo conduttore in tutte le letture proposte. Più volte nella Sacra Scrittura ci imbattiamo in questa immagine, già a partire dalle sue prime pagine fino all’Apocalisse. L’albero è il simbolo dell’uomo saggio, di colui che ripone la sua fede e la sua speranza in Dio; egli “è come albero piantato lunghi corsi d’acqua” (Sal 1,3).
Ogni discepolo del Signore è chiamato ad essere quell’albero in grado di portare buoni frutti, ma perché ciò accada è fondamentale la giusta disposizione del cuore da cui l’uomo “trae fuori il bene” (Lc 6,45). Proprio nel cuore, secondo l’interpretazione biblica, giacciono i sentimenti di ciascuno; questa è la sede delle decisioni che orientano la vita di ogni uomo. Ogni discepolo di Gesù deve essere luce per gli altri, deve avere un cuore che sovrabbondi di ogni bene. Questo sovrabbondare si manifesta poi nelle parole e nelle azioni e il Signore in questa domenica ci mette in guardia proprio dalle nostre parole e dalle nostre azioni richiamandoci alla coerenza. Mettersi alla sequela del Maestro significa anche prendersi cura del fratello, correggere coloro che sbagliano. Ma la correzione fraterna il più delle volte cela due pericoli. Il primo è quello di misurare con una misura inadeguata e questo è descritto in colori vivaci con l’immagine della pagliuzza e della trave. I minimi difetti dell’altro sono considerati grandi; i propri se pur gravi appaiono invece piccoli. Il secondo pericolo della correzione fraterna consiste nell’ipocrisia.
E su quest’ultima richiamo l’adagio dei nostri nonni attuale sempre, essere ipocrita è “fare come ti dico ma non come faccio”. Da ciò comprendiamo come sia necessario prima correggere sé stessi. Quest’ultimo pericolo lo si supera quando la condotta esteriore coincide con l’intenzione interiore. Il Signore, dunque, ci invita a partire dalla nostra interiorità; quando l’uomo riconosce innanzi tutto i peccati commessi nel suo cuore, quando riconosce le sue fragilità e i sui limiti allora può avvicinarsi al fratello ed attuare il Regno di Dio. Abbiamo una grande responsabilità verso gli altri che molte volte dimentichiamo e come Caino diciamo “sono forse io il custode di mio fratello?” (Gn 4,9). La cura verso ciascuno dei fratelli che il Signore ci affida deve esplicitarsi nel nostro porci accanto, nell’essere non guide cieche, ma autentici compagni di strada perché solo in questo modo l’uomo può conoscere sé stesso e l’altro. Il vivere in questo modo comporta una certa fatica ma se vissuta nel Signore “non è vana” (1Cor 15,58)
Lorenzo Montenegro, IV anno
Immagine di Dianella Fabbri
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