Testi della Liturgia della Parola
Zc 9,9-10
Sal 144
Rm 8,9.11-13
Mt 11,25-30
Alzi la mano chi non ha mai fatto esperienza della piccolezza. Nessuno. Tutti noi proveniamo dall’incontro di due cellule visibili solo al microscopio; tutti veniamo al mondo ritagliandoci un minuscolo spazio nel ventre di una donna; tutti entriamo sulla scena della vita così in punta di piedi che impieghiamo mesi prima di reggerci da soli sulle nostre gambe… L’esperienza della piccolezza appartiene a ciascuno di noi. Ma non sarebbe giusto relegarla ai nostri ricordi o rinchiuderla nel magico mondo dell’infanzia, come se essere piccoli sia solo un affare da bambini. Quante volte anche da ‘grandi’ continuiamo a sentirci piccoli?
La piccolezza è connaturata al nostro essere membri della famiglia umana. Se per un attimo ci fermiamo a pensare allo spazio che occupiamo nel cosmo o a quanto poco tempo dura la nostra vita rispetto alle ere geologiche, ecco che brilla una verità inconfutabile: noi siamo estremamente piccoli. Siamo battiti di ciglia nello sguardo dell’universo. Eppure Dio, il Signore del cielo e della terra, è innamorato pazzo di questo battito che è ciascuno di noi.
Ma quanto è difficile, soprattutto ‘da grande’, accettare di essere piccolo? Sì, sentirsi piccoli provoca in noi un certo disagio. Ci sentiamo piccoli quando siamo messi in un angolo dalla vita, quando sperimentiamo l’incomprensione e l’esclusione, quando tocchiamo con mano il dramma della nostra incapacità, del nostro radicale bisogno di chiedere aiuto. E a nessun ‘grande’ piace chiedere aiuto. A nessun grande va giù il fatto di essere piccolo. Nelle prime pagine de “Il piccolo principe”, Antoine de Saint-Exupery afferma che “tutti i grandi sono stati prima di tutto dei bambini” e poi aggiunge – tra parentesi – “ma pochi di loro se ne ricordano”.
Farsi grandi, illudersi di essere autosufficienti, convincersi di bastare a se stessi, è una grande (anzi, in questo caso grandissima) menzogna. Chi si considera grande finisce inevitabilmente per escludere Dio dalla propria vita o al massimo per ridurlo a un idolo a portata di mano, una suppellettile da tenere su una mensola e da spolverare all’occorrenza. Ma che Dio è un Dio soprammobile? Dio non vuole fare da arredamento nella nostra esistenza; la vita spirituale non può consistere in un restyling misticheggiante fatto di preghierine e devozioni. Con il suo Spirito, Dio chiede di abitare pienamente in noi, vuole prendere dimora nella nostra piccolezza. Non è facendoci grandi che prepareremo una casa al Signore: quando gli uomini cominciarono a costruire un piano sull’altro non solo non trovarono Dio, ma smarrirono anche la capacità di comprendersi tra loro. Babele non è un racconto fantastico: è lo specchio in cui vediamo riflesso l’esito di tutte le nostre ambizioni di grandezza.
A noi, grandi sapienti e dotti costruttori di torri, Gesù rivela che essere piccoli non deve più farci paura, né provocarci disagio. La piccolezza è la condizione di chi sa di essere figlio ed è felice di esserlo. Il primo ‘piccolo’, infatti, è Gesù stesso: lui più di tutti è consapevole di essere Figlio. In Gesù, Dio si è fatto piccolo per stare con noi e ridimensionarci, per rifarci a misura del suo Amore, così piccolo che i presunti grandi non riescono ad accorgersene eppure così piccolo da essere davvero infinito.
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Rm 8,9.11-13
Mt 11,25-30
Alzi la mano chi non ha mai fatto esperienza della piccolezza. Nessuno. Tutti noi proveniamo dall’incontro di due cellule visibili solo al microscopio; tutti veniamo al mondo ritagliandoci un minuscolo spazio nel ventre di una donna; tutti entriamo sulla scena della vita così in punta di piedi che impieghiamo mesi prima di reggerci da soli sulle nostre gambe… L’esperienza della piccolezza appartiene a ciascuno di noi. Ma non sarebbe giusto relegarla ai nostri ricordi o rinchiuderla nel magico mondo dell’infanzia, come se essere piccoli sia solo un affare da bambini. Quante volte anche da ‘grandi’ continuiamo a sentirci piccoli?
La piccolezza è connaturata al nostro essere membri della famiglia umana. Se per un attimo ci fermiamo a pensare allo spazio che occupiamo nel cosmo o a quanto poco tempo dura la nostra vita rispetto alle ere geologiche, ecco che brilla una verità inconfutabile: noi siamo estremamente piccoli. Siamo battiti di ciglia nello sguardo dell’universo. Eppure Dio, il Signore del cielo e della terra, è innamorato pazzo di questo battito che è ciascuno di noi.
Ma quanto è difficile, soprattutto ‘da grande’, accettare di essere piccolo? Sì, sentirsi piccoli provoca in noi un certo disagio. Ci sentiamo piccoli quando siamo messi in un angolo dalla vita, quando sperimentiamo l’incomprensione e l’esclusione, quando tocchiamo con mano il dramma della nostra incapacità, del nostro radicale bisogno di chiedere aiuto. E a nessun ‘grande’ piace chiedere aiuto. A nessun grande va giù il fatto di essere piccolo. Nelle prime pagine de “Il piccolo principe”, Antoine de Saint-Exupery afferma che “tutti i grandi sono stati prima di tutto dei bambini” e poi aggiunge – tra parentesi – “ma pochi di loro se ne ricordano”.
Farsi grandi, illudersi di essere autosufficienti, convincersi di bastare a se stessi, è una grande (anzi, in questo caso grandissima) menzogna. Chi si considera grande finisce inevitabilmente per escludere Dio dalla propria vita o al massimo per ridurlo a un idolo a portata di mano, una suppellettile da tenere su una mensola e da spolverare all’occorrenza. Ma che Dio è un Dio soprammobile? Dio non vuole fare da arredamento nella nostra esistenza; la vita spirituale non può consistere in un restyling misticheggiante fatto di preghierine e devozioni. Con il suo Spirito, Dio chiede di abitare pienamente in noi, vuole prendere dimora nella nostra piccolezza. Non è facendoci grandi che prepareremo una casa al Signore: quando gli uomini cominciarono a costruire un piano sull’altro non solo non trovarono Dio, ma smarrirono anche la capacità di comprendersi tra loro. Babele non è un racconto fantastico: è lo specchio in cui vediamo riflesso l’esito di tutte le nostre ambizioni di grandezza.
A noi, grandi sapienti e dotti costruttori di torri, Gesù rivela che essere piccoli non deve più farci paura, né provocarci disagio. La piccolezza è la condizione di chi sa di essere figlio ed è felice di esserlo. Il primo ‘piccolo’, infatti, è Gesù stesso: lui più di tutti è consapevole di essere Figlio. In Gesù, Dio si è fatto piccolo per stare con noi e ridimensionarci, per rifarci a misura del suo Amore, così piccolo che i presunti grandi non riescono ad accorgersene eppure così piccolo da essere davvero infinito.
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