La liturgia di questa V Domenica di Quaresima – ci accingiamo a vivere le ultime battute di questo cammino di conversione – ci invita a meditare su un brano tratto dal Vangelo di Giovanni al capitolo 8, nel quale scribi e farisei mettono alla prova Gesù, sottoponendolo ad un tranello. Gli presentano il caso di una donna adultera, senza nome perché identificata esclusivamente col peccato commesso, una donna marchiata. Per scribi e farisei ella non è più una persona, non ha più una propria identità, è ormai un oggetto del quale si può disporre liberamente, finanche decidere di mettere a morte. La reazione di Gesù alle loro domande è quella di chinarsi e scrivere per terra. Non si sa che cosa egli avesse scritto – il testo non lo riporta – ma questo atteggiamento sembra volerci dire che egli volesse allontanarsi dall’opinione dei suoi interlocutori che, ancorati ai dettami della legge, pare non abbiano compreso il suo significato più profondo.
Ecco perché Gesù inizia a scrivere: è il compimento della legge antica che lui, col suo esempio, con le sue parole vuole rivelare, vuole scrivere appunto. Con la sua parola definitiva sembra voler introdurre alla comprensione piena del senso autentico dell’antico ordinamento. Per questo tutti vanno via, abbandonando la scena. Hanno raggiunto la consapevolezza della loro non comprensione oppure si allontanano perché veramente, in coscienza, si sentono simili, nel peccato, a quella donna. «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Le parole dell’unico Maestro lasciano intendere non soltanto che egli non l’avesse condannata, ma anche che le avesse concesso una possibilità nuova per il futuro. Le parole di Gesù non hanno evidentemente eliminato dalla vita di quella donna le tracce del peccato commesso, ma l’amore rivelatole ha aperto sicuramente una prospettiva nuova nella sua vita, quella dell’amore e del perdono. L’insegnamento di Gesù in questo brano evangelico è che il vero ed unico potere – quello che scribi e farisei hanno tentato di esercitare sulla donna, chiedendo che fosse messa a morte – è quello del perdono, lo stesso potere che Gesù rivelerà pienamente sulla Croce, pregando il Padre perché concedesse misericordia ai suoi uccisori. È perché ella si è sentita toccata da una misericordia che trascende la sua esperienza di male che la sua esistenza ora si apre alla vita, si apre all’infinito dell’amore di Dio. È perché la parte più oscura della sua coscienza è stata illuminata dalla luce della grazia di Dio che ella può dilatare il suo cuore all’amore per se stessa, per gli altri e, quindi, per il Signore. Colpisce nel testo il fatto che Gesù non faccia minimamente riferimento agli errori, ormai passati, della donna. Il suo dire è tutto orientato al futuro, il suo dire è esso stesso redenzione per la sua vita. Soltanto quando sperimentiamo il perdono che ha toccato la donna del Vangelo diventiamo capaci di seminare attorno a noi amore, soltanto quando lasciamo raggiungerci dalla misericordia del Signore alla nostra miseria viene data la certezza della risurrezione.
La liturgia di questa V Domenica di Quaresima – ci accingiamo a vivere le ultime battute di questo cammino di conversione – ci invita a meditare su un brano tratto dal Vangelo di Giovanni al capitolo 8, nel quale scribi e farisei mettono alla prova Gesù, sottoponendolo ad un tranello. Gli presentano il caso di una donna adultera, senza nome perché identificata esclusivamente col peccato commesso, una donna marchiata. Per scribi e farisei ella non è più una persona, non ha più una propria identità, è ormai un oggetto del quale si può disporre liberamente, finanche decidere di mettere a morte. La reazione di Gesù alle loro domande è quella di chinarsi e scrivere per terra. Non si sa che cosa egli avesse scritto – il testo non lo riporta – ma questo atteggiamento sembra volerci dire che egli volesse allontanarsi dall’opinione dei suoi interlocutori che, ancorati ai dettami della legge, pare non abbiano compreso il suo significato più profondo.
Ecco perché Gesù inizia a scrivere: è il compimento della legge antica che lui, col suo esempio, con le sue parole vuole rivelare, vuole scrivere appunto. Con la sua parola definitiva sembra voler introdurre alla comprensione piena del senso autentico dell’antico ordinamento. Per questo tutti vanno via, abbandonando la scena. Hanno raggiunto la consapevolezza della loro non comprensione oppure si allontanano perché veramente, in coscienza, si sentono simili, nel peccato, a quella donna. «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». Le parole dell’unico Maestro lasciano intendere non soltanto che egli non l’avesse condannata, ma anche che le avesse concesso una possibilità nuova per il futuro. Le parole di Gesù non hanno evidentemente eliminato dalla vita di quella donna le tracce del peccato commesso, ma l’amore rivelatole ha aperto sicuramente una prospettiva nuova nella sua vita, quella dell’amore e del perdono. L’insegnamento di Gesù in questo brano evangelico è che il vero ed unico potere – quello che scribi e farisei hanno tentato di esercitare sulla donna, chiedendo che fosse messa a morte – è quello del perdono, lo stesso potere che Gesù rivelerà pienamente sulla Croce, pregando il Padre perché concedesse misericordia ai suoi uccisori. È perché ella si è sentita toccata da una misericordia che trascende la sua esperienza di male che la sua esistenza ora si apre alla vita, si apre all’infinito dell’amore di Dio. È perché la parte più oscura della sua coscienza è stata illuminata dalla luce della grazia di Dio che ella può dilatare il suo cuore all’amore per se stessa, per gli altri e, quindi, per il Signore. Colpisce nel testo il fatto che Gesù non faccia minimamente riferimento agli errori, ormai passati, della donna. Il suo dire è tutto orientato al futuro, il suo dire è esso stesso redenzione per la sua vita. Soltanto quando sperimentiamo il perdono che ha toccato la donna del Vangelo diventiamo capaci di seminare attorno a noi amore, soltanto quando lasciamo raggiungerci dalla misericordia del Signore alla nostra miseria viene data la certezza della risurrezione.
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