Per la giornata di approfondimento del dialogo tra ebrei e cristiani quest’anno la nostra comunità ha ospitato il professore Furio Biagini, docente di storia dell’ebraismo e di storia contemporanea presso l’università del Salento. Il prof. Biagini ha condiviso alcune riflessioni sul tema della speranza.
La speranza all’interno del mondo ebraico ha un incontro ben specifico: quello di Mosè con il Santo Benedetto al roveto ardente (Es 3,1-15). Il Santo Benedetto non ha un nome specifico, nel testo ebraico «’heyeh ’ašer ’heyeh» (Es3,14) viene tradotto come sarò come sarò. La parola orientata al futuro permette alla discendenza di dire io sarò: la trascendenza appartiene al futuro. La storia d’Israele non ha una fine poiché il popolo d’Israele passa dalla schiavitù alla libertà, non è una narrazione ciclica (a differenza della letteratura comune che ha un inizio e una fine). Il tempo ebraico è un tempo aperto, per l’ebreo è «tôledot» va per generazioni nel corso dei tempi.
Il concetto di fede nell’ebraismo è sinonimo di libertà umana: l’uomo sceglie che cosa deve essere, la società in cui vivere, non vi è nulla di inevitabile nelle questioni dell’umanità.
Il divino crea la natura come atto di libertà: la qabala lo definisce amore sconfinato, come quello di una donna che fa spazio al feto nel grembo materno.
Il professore nel suo discorso ha detto che è necessario un nuovo inizio, lasciare quelle cose che limitano la nostra libertà, anche perché alcune volte la libertà viene utilizzata male dall’uomo, in quanto la violenza insita nell’essere umano perché discendente da Caino. Abramo attraversa: lascia il luogo di nascita, la casa del padre per andare incontro ad uno stile di vita in alleanza con la trascendenza.
La tôrāh è costituzione di liberta: il Santo benedetto crea con la dabar, con il dono della Parola. La libertà è la fiducia nel futuro e la speranza ebraica è una speranza attiva: essa è filo spinato per tenere fuori la disperazione.
La tôrāh apre alla possibilità di scelta, al cambiamento al futuro indeciso: l’ebreo pianta l’albero di mandorlo per le generazioni che verranno dopo. La tôrāh ispira a guardare in avanti, a portare la luce all’interno dell’oscurità.
Il Giubileo è legato all’attesa messianica ed entrambi (ebrei e cristiani) stiamo attendendo il messia e la parusia. Il giubileo infine ha radici nello šabbat, nell’esperienza del mondo futuro.
Pietro di Bari, pastorale dell' ecumenismo