Malta: una piccola isola, ma, come ha detto papa Francesco nell’udienza generale del 6 aprile, «un luogo-chiave», sotto diversi punti di vista. È per questo che il pontefice vi si è recato sabato 2 e domenica 3 aprile scorsi, due giorni pieni di incontri, volti a sottolineare proprio la multiforme importanza e ricchezza di questo paese.
Innanzitutto Malta è un luogo centrale sotto il profilo geo-politico: essendo «il cuore del Mediterraneo», da sempre è un crocevia «di vitalità e di cultura, di spiritualità e di bellezza», ed è meta “privilegiata” delle migrazioni, o meglio, degli sbarchi dei migranti. E il papa non ha mancato di esprimere la sua gratitudine a questo paese, alla sua popolazione, per l’accoglienza che continuamente offre a coloro che per diversi motivi giungono sull’isola. A tale proposito, se da un lato il papa ha ricordato giustamente che i migranti vanno accolti sempre, dall’altro ha pure esortato i varî paesi europei a lavorare insieme, a livello internazionale, affinché il fenomeno migratorio non sia «ridotto a un’emergenza», e affinché i migranti non siano considerati come tanti numeri, o perggio come «un virus da cui difentersi», ma – quali essi sono – come persone, come vólti, ognuno con la sua storia, «con la sua dignità, le sue radici, la sua cultura»,
Parole, queste, che nel viaggio del Santo Padre si sono fatte carne, quando egli ha visitato il Centro per Migranti “Giovanni XXIII Peace Lab”. Qui, infatti, egli ha esordito come fece anche nel suo viaggio a Lesbo: «sono qui per dirvi che vi sono vicino… Sono qui per vedere i vostri vólti, per guardarvi negli occhi». E, parlando ai migranti, ha commentato il motto che ha scelto per questo viaggio: «con rara umanità». Esso è tratto dagli Atti degli Apostoli (28, 2) e si riferisce al modo in cui l’Apostolo Paolo e le altre persone che stavano con lui sulla barca furono accolti dai maltesi in seguito a un naufragio: come allora, anche oggi è necessario, è urgente che i migranti vengano accolti e trattati «non solo con umanità, ma con una umanità non comune, una premura speciale», è necessario, è urgente – continua il papa – che i centri di accoglienza siano «luoghi di umanità», i cui ci siano persone disposte ad ascoltare, a stare accanto a chi soffre, ad accogliere le fragilità altrui, ad accompagnare le persone verso la felicità, nella consapevolezza che «certo, accogliere costa fatica e richiede rinunce... Ma sono sante le rinunce fatte per un bene più grande, per la vita dell’uomo, che è il tesoro di Dio!».
Ed proprio la vita dell’uomo è stata al centro della Liturgia di domenica 3, Quinta di Quaresima, con l’episodio evangelico dell’adultera (Gv 8, 1-11). Durante l’omelia il Santo Padre ha messo in guardia contro due grandi tentazioni della nostra religiosità: il «tarlo dell’ipocrisia e il vizio di puntare il dito»: dire a parole di essere cristiani, ma poi vivere diversamente, “smentire nei fatti il nome di Gesù che abbiamo sulle labbra”. Come verificare se stiamo alla scuola del Maestro? Dal modo in cui guardiamo il prossimo (oltre che noi stessi): «con uno sguardo di misericordia, oppure in modo giudicante?». «La vita di quella donna – prosegue il papa – cambia grazie al perdono. (...) Viene persino da pensare che, perdonata da Gesù, abbia imparato a sua volta a perdonare».
Da qui le parole, cariche di speranza, che il pontefice ha poi rivolto ai migranti nel pomeriggio: «Permettetemi, fratelli e sorelle, di esprimere un mio sogno. Che voi migranti, dopo aver sperimentato un’accoglienza ricca di umanità e di fraternità, possiate diventare in prima persona testimoni e animatori di accoglienza e di fraternità. Qui e dove Dio vorrà, dove la Provvidenza guiderà i vostri passi. Questo è il sogno che desidero condividere con voi e che metto nelle mani di Dio. Perché ciò che è impossibile a noi non è impossibile a Lui».
Pietro De Tommaso
II anno