di Francesco Manisi
Da Mao Zedong all’accordo Santa Sede-Cina del 2018
18 gennaio 2015: dopo aver vissuto un entusiasmante viaggio nelle Filippine, Papa Francesco è di ritorno verso Roma. Durante la consueta conferenza stampa a bordo dell’aereo, un giornalista gli chiede se desidera compiere un viaggio apostolico in Cina. Il volto del Papa si illumina improvvisamente: «Se io ho voglia di andare in Cina? Ma sicuro: domani!». In merito poi ai rapporti tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese, afferma: «Noi rispettiamo il popolo cinese; soltanto, la Chiesa chiede libertà per la sua missione, per il suo lavoro; nessun’altra condizione» e ancora: «la Santa Sede è aperta ai contatti: sempre, perché ha una vera stima per il popolo cinese». In numerose altre occasioni, il Vescovo di Roma esprimerà la sua profonda ammirazione per il popolo e la cultura cinesi, rimarcando l’esigenza di segnare una svolta nei rapporti diplomatici tra Santa Sede e lo Stato dell’Estremo Oriente, seppur con rispettosa gradualità. Del resto, quello tra Stato e Chiesa in Cina è un connubio che sin dai tempi di Matteo Ricci ha fatto fatica a decollare, alternando momenti di tolleranza e stima nei confronti dei cristiani ad altri di forte tensione e feroci persecuzioni. Nel corso del XX secolo, la situazione degenera con l’ascesa al potere del rivoluzionario comunista Mao Zedong, fondatore dell’odierna Repubblica Popolare Cinese, il cui potere politico può essere detenuto ancor oggi solo ed unicamente dal Partito Comunista Cinese. In un clima di ferrato controllo sociale e religioso, sono gradualmente espulsi dal territorio sinico tutti i missionari stranieri e viene istituita l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi che porterà nel 1957 alle prime ordinazioni episcopali senza mandato pontificio. L’obiettivo di Zedong è quello di creare una Chiesa cinese totalmente indipendente da Roma: ha inizio così il cattolicesimo ufficiale. Nel corso di pochi decenni si crea una vera e propria frattura interna che vede opporsi le Chiese fedeli a Roma (i cui pastori continuano ad essere nominati dal Papa) a quelle dirette dallo Stato. La riforma culturale intrapresa dal governo centrale che porta alla proibizione di ogni religione e alla chiusura di tutti i luoghi di culto inasprisce la già difficile situazione interna. L’inizio del pontificato di Giovanni Paolo II coincide con l’ascesa e le riforme del più moderato Deng Xiaoping. Finalmente i primi segni di apertura: vengono liberati vescovi e sacerdoti «non ufficiali» internati negli anni precedenti e si riaprono chiese in diverse città. Gradualmente molti vescovi patriottici chiedono e ottengono da Roma il riconoscimento ufficiale, facendo tramontare l’idea di un’ipotetica Chiesa «scismatica». Tuttavia, le ordinazioni episcopali illegittime non sembrano cessare neppure sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, provocando divisioni e ulteriori tensioni. Negli ultimi anni, i contatti si moltiplicano e i canali di comunicazione appaiono più stabili ed efficaci: un clima nuovo e più disteso permette l’effettiva ripresa del dialogo tra la Santa sede e le autorità cinesi. Si giunge così allo storico accordo di Pechino, firmato il 22 settembre 2018 tra la delegazione vaticana e quella cinese, rappresentate rispettivamente da monsignor Antoine Camilleri, sottosegretario per i rapporti della Santa Sede con gli stati e da Wang Chao, viceministro degli affari esteri della repubblica popolare cinese. L’accordo: si concretizza nel riconoscimento della piena comunione a sette vescovi cinesi ordinati senza mandato pontificio negli ultimi decenni; si sviluppa in un concordato circa il modo di nominare i futuri pastori e culmina nella creazione della nuova diocesi a Chengde. Di certo, non bisogna considerare questo accordo come il punto finale e conclusivo del processo di avvicinamento tra Santa sede e Cina, bensì come una tappa importante all’interno di un dialogo progressivo che continuerà a svilupparsi e si verificherà nel tempo. Si tratta comunque di una disposizione di carattere radicalmente ed essenzialmente pastorale: l’obiettivo è far sì che la Chiesa possa meglio predicare il Vangelo senza perdersi troppo in conflittualità interne che possono essere superate con la buona volontà di tutti. Tuttavia, per alcuni, l’accordo porterebbe con sé una serie di conseguenze negative, alimentando non poche perplessità circa la sua efficacia. L’ultima parola spetta allo Spirito, fonte di unità e guida della Chiesa nella storia!