L’esperienza del carcere è forse un’esperienza che tutti fanno, o hanno fatto, ma forse quasi nessuno lo sa. Puoi vivere il carcere in una relazione, lo puoi vedere all’interno di una collettività, lo puoi sentire dentro di te…credo che ciò che accomuna tutte queste situazioni non sia tanto la mancanza di libertà intesa come condizione di non pensare o agire liberamente ma sia la condizione di sentirsi, giorno dopo giorno, svuotati un po’ di più di se stessi, fino al ritrovarsi in una condizione tale per cui ti senti mancante di dignità e questo traspare direttamente dalla non cura di te stesso. Forse, in queste occasioni bisognerebbe ritornare ad essere un po’ più bambini. Loro sono capricciosi sì e battono i piedi per terra, non capiscono tutto e si impuntano, passano dal pianto alla gioia e viceversa in un non niente, custodiscono tanti perché senza risposta, litigano, gridano, saltano…insomma, fanno i bambini. Forse il loro più piccolo e grande segreto è quello di sapere di non bastare a loro stessi, di dipendere totalmente da un altro, di dipendere totalmente dalla mamma. Così, ogni volta con immensa fiducia, alzano le manine e gridano: mamma, mamma! Finché lei con un immenso sorriso si avvicina a loro. Credo che sia proprio così per ogni occasione carceraria. Ciò che ti salva, ciò che ti dà la dignità perduta, è il fidarti e l’affidarti ad un Altro. Il lasciarti sentir guardare con amore. Il sapere che tutta la tua bellezza c’è ancora, non è sparita, è solo un po’ più nascosta. In queste occasioni, la cosa straordinaria è l’abbraccio di Gesù che diventa benedizione, esprime tenerezza, apre i cuori all’effusione e diventa ancor più familiare a noi. Sì, nel carcere, se ti guardi intorno, trovi il volto di Qualcuno che ti guarda con dignità e non è più carcere.
Stefano Manente (III anno)