IN CAMMINO NEI LUOGHI DELLA MEMORIA
Dopo due anni di sospensione dovuta alla situazione pandemica è ripresa la bella tradizione del pellegrinaggio in Terra Santa per i seminaristi di sesto anno. L’attesa e le aspettative sono state veramente tante, con sentimenti di gioia e di apprensione, aspettando che arrivasse il giorno della partenza. Ad accompagnare il nostro viaggio oltre al nostro rettore e agli educatori e padri sprituali, c’è stato Padre Franco Annicchiarico. Siamo partiti da Bari il primo maggio alle 6.40, per atterrare all’aeroporto di Tel Aviv alle 14.00 ora locale, la prima sensazione che ho avuto è stata proprio quella di un Paese in perenne stato di allerta, con un altissimo livello di sicurezza.
Betlemme: un annuncio che diventa speranza
La prima tappa del nostro pellegrinaggio è stata Betlemme, piccola città, il cui nome sembra richiamare il grande mistero dell’incarnazione; infatti in arabo “Betlemme” significa città della carne, mentre in ebraico città del pane. Betlemme si trova in Cisgiordania, sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese, al di là del muro che divide Israele dalla Palestina. Appena arrivati, abbiamo visitato la Basilica della Natività al cui interno vi sono i resti di quella grotta, che secondo la tradizione, ha visto venire alla luce Gesù. Entrando in Basilica è evidente come la stessa abbia subìto tanti rimaneggiamenti nei secoli. Ma ciò che colpisce, oltre ai mosaici del XII secolo, alcuni dei quali raffiguranti i concili e alla stella in cripta dove poter inserire la mano per toccare la pietra originale, è la presenza di “Chiese nella Chiesa”. Infatti all’interno convivono la Chiesa greco-ortodossa, la Chiesa cattolica e la Chiesa Apostolica Armena; questo permette di riflettere tanto su quanto ci sia bisogno di intensificare il cammino verso l’unità e la riconciliazione.
Il giorno successivo, dopo aver celebrato il “Natale del Signore”, presso la Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria ci siamo diretti a Qasr El Yahud dove abbiamo potuto ammirare con i nostri occhi il fiume Giordano, facendo memoria delle promesse battesimali, alla luce di quanto avvenuto duemila anni fa proprio su quelle rive. Mentre nel primo pomeriggio non poteva mancare una sosta al mar Morto, le cui acque sono cosi salate da rendere impossibile la vita; infatti, appena immerso nelle acque mi sono reso conto di come sia impossibile cercare di nuotare.
Cafarnao: una chiamata che si rinnova
Il terzo giorno abbiamo lasciato le zone desertiche e montuose della Giudea, alla volta della verde e fertile Galilea. Raggiungere Cafarnao e il mare di Tiberiade è stata un’esperienza esaltante e ricca di emozioni. Vedendo le onde del lago leggermente increspate mi ha fatto ritornare alla mente il brano evangelico della “Tempesta sedata”, pensando un po’ a quanto provato dai discepoli in quel momento. Finalmente quel luogo tanto caro al mio cammino di fede ha assunto un volto, un volto che diventa chiamata, discepolato e fedeltà. Poco distante dal punto nel quale abbiamo celebrato, vi è un altro luogo di memoria, quello in cui Gesù appare sulle rive del lago dopo la resurrezione e rinnova la sua chiamata a Pietro. Calpestare quella terra, passare da quella riva e sentire il rumore delle onde, permette proprio di tornare indietro di duemila anni, cercando di percepire quei sentimenti provati da Pietro durante quell’incontro. Sembra quasi che quel lago con il rumore delle suo onde voglia riportare alla luce quel dialogo tra Gesù e Pietro.
Nazareth: dove tutto ha avuto inizio
Il pomeriggio abbiamo lasciato Cafarnao, per raggiungere Nazareth, dove ci attendevano nuovi volti, nuovi incontri e nuove emozioni. Come non ammirare la bellezza del posto, terra povera e provata, ma che racchiude in sé il grande mistero dell’annuncio di Dio. Infatti, entrando nella Basilica dell’Annunciazione, nella parte inferiore è possibile notare questa piccola grotta, dove la tradizione vuole che sia avvenuto l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria. Anche qui abbiamo fatto memoria di questo evento così importante, celebrando la liturgia dell’Annunciazione nella basilica superiore. Ma ciò che ha colpito di più è la visita della tomba “del giusto”, sotto le fondamenta dell’attuale casa delle suore di Nazareth. Qui abbiamo potuto ammirare i resti di questa piccola casa e poco distante, al piano inferiore, delle camere funerarie, lasciando supporre che forse in questo luogo ha trovato riposo il corpo di San Giuseppe. Questo perché, chi vendette il terreno alle suore nel 1800 era consapevole, pur non ricordando il punto esatto, che su quel terreno vi era la tomba di un uomo chiamato il “Giusto”.
Mercoledì è il tempo di salire sul Monte Tabor, dove Gesù rese partecipi Pietro, Giacomo e Giovanni di quella relazione intima tra Egli e il Padre. Certo, non abbiamo sperimentato la loro fatica nel salire il monte, ma quell’incedere sotto il sole che accecava i nostri occhi, mi ha fatto riflettere su quanto debba essere stato sorprendente vedere Gesù splendente di questa luce divina e chissà quali pensieri abbiano attraversato le loro menti mentre scendevano dal monte.
Gerusalemme: tempo di sintesi e di nuovi inizi
Ma i giorni più suggestivi sono stati gli ultimi due, quando siamo stati a Gerusalemme: città contesa e piena di tante contraddizioni, una città che invece di unire diventa motivo di separazione. Separazione che non riguarda soltanto le relazioni tra musulmani, ebrei e cristiani, ma anche tra cristiani stessi. Simbolo di questa divisione è proprio la basilica del Santo Sepolcro. Entrando nella basilica si nota, posata a terra, una grande lastra di pietra, la cosiddetta “Pietra dell’unzione”, dove la tradizione vuole che sia stato posato il corpo di Gesù per l’unzione. E’ stato molto suggestivo percepire tutta la fede che si respira in questo posto, vedere tanti uomini e donne inginocchiarsi davanti a questa pietra e poggiare sopra di essa oggetti personali, come per farli impregnare oltre che dal profumo del nardo, di quel sostegno e di quella forza divina che viene da Cristo. Proprio come l’emorroissa quando toccò il lembo del mantello di Gesù. Accanto a questa pietra si trovano due scale che conducono al cosiddetto monte Calvario; ecco che giunto al piano superiore il primo aspetto che si nota è la divisione con la presenza di due spazi liturgici ben divisi: quello sotto la custodia della Chiesa greco – ortodossa e quello sotto la custodia cattolica. Entrando nella cappella ortodossa, si nota una stella sotto l’altare dove è possibile venerare il luogo in cui Gesù è stato crocifisso, toccando la pietra originale, presente al di sotto del pavimento. Infine, scendendo mi sono diretto verso l’edicola del Santo Sepolcro, dove in base allo status quo hanno diritto di accesso le Chiese ortodossa, armena e cattolica. Varcando l’entrata di questa edicola, si entra in una prima stanza dove è ben visibile un grosso frammento della pietra che chiudeva il sepolcro di Gesù. Superata la prima stanzetta, si entra nella seconda dove si può sostare qualche minuto in preghiera davanti alla tomba di Gesù. Purtroppo solo qualche minuto, prima che il prete ortodosso, battendo con la mano sull’arcata della porta, non ti inviti ad uscire.
Il valore della diplomazia in una terra di conflitti
Molto interessante, alla vigilia della partenza, è stato l’incontro con don Natale Albino, segretario della Nunziatura Apostolica di Israele, Gerusalemme, Palestina e Cipro. Don Natale, dopo aver effettuato un breve excursus storico sulla situazione tra Israele e Palestina, ha chiarito quale sia l’attuale assetto geopolitico e diplomatico tra lo Stato di Palestina e lo Stato di Israele, mettendo in risalto lo stallo dei lavori nel processo di pace, che resta tuttora difficile e impegnativo. Infine, prima di aprirsi alle nostre domande, il segretario della Nunziatura, ci ha prospettato la linea diplomatica della Santa Sede nella risoluzione del conflitto israeliano – palestinese, in particolare sui territori contesi da entrambe le parti.
Ricordo e gratitudine
A conclusione del nostro pellegrinaggio è stato possibile vivere un’esperienza a dir poco unica e cioè quella di sostare per qualche ora nella basilica del santo sepolcro a porte chiuse. Sono state due, tre ore molto belle; durante le quali ho veramente gustato quei luoghi, rimanendo in silenzio, leggendo il vangelo della passione e meditando con lo sguardo rivolto al luogo della crocifissione. Tornando in Italia, i sentimenti che ho provato sono stati quelli di grande gratitudine per tutti coloro che ci hanno permesso di visitare e vivere questi posti meravigliosi.
Amleto Provenzano
IN CAMMINO NEI LUOGHI DELLA MEMORIA
Dopo due anni di sospensione dovuta alla situazione pandemica è ripresa la bella tradizione del pellegrinaggio in Terra Santa per i seminaristi di sesto anno. L’attesa e le aspettative sono state veramente tante, con sentimenti di gioia e di apprensione, aspettando che arrivasse il giorno della partenza. Ad accompagnare il nostro viaggio oltre al nostro rettore e agli educatori e padri sprituali, c’è stato Padre Franco Annicchiarico. Siamo partiti da Bari il primo maggio alle 6.40, per atterrare all’aeroporto di Tel Aviv alle 14.00 ora locale, la prima sensazione che ho avuto è stata proprio quella di un Paese in perenne stato di allerta, con un altissimo livello di sicurezza.
Betlemme: un annuncio che diventa speranza
La prima tappa del nostro pellegrinaggio è stata Betlemme, piccola città, il cui nome sembra richiamare il grande mistero dell’incarnazione; infatti in arabo “Betlemme” significa città della carne, mentre in ebraico città del pane. Betlemme si trova in Cisgiordania, sotto controllo dell’Autorità nazionale palestinese, al di là del muro che divide Israele dalla Palestina. Appena arrivati, abbiamo visitato la Basilica della Natività al cui interno vi sono i resti di quella grotta, che secondo la tradizione, ha visto venire alla luce Gesù. Entrando in Basilica è evidente come la stessa abbia subìto tanti rimaneggiamenti nei secoli. Ma ciò che colpisce, oltre ai mosaici del XII secolo, alcuni dei quali raffiguranti i concili e alla stella in cripta dove poter inserire la mano per toccare la pietra originale, è la presenza di “Chiese nella Chiesa”. Infatti all’interno convivono la Chiesa greco-ortodossa, la Chiesa cattolica e la Chiesa Apostolica Armena; questo permette di riflettere tanto su quanto ci sia bisogno di intensificare il cammino verso l’unità e la riconciliazione.
Il giorno successivo, dopo aver celebrato il “Natale del Signore”, presso la Chiesa di Santa Caterina d’Alessandria ci siamo diretti a Qasr El Yahud dove abbiamo potuto ammirare con i nostri occhi il fiume Giordano, facendo memoria delle promesse battesimali, alla luce di quanto avvenuto duemila anni fa proprio su quelle rive. Mentre nel primo pomeriggio non poteva mancare una sosta al mar Morto, le cui acque sono cosi salate da rendere impossibile la vita; infatti, appena immerso nelle acque mi sono reso conto di come sia impossibile cercare di nuotare.
Cafarnao: una chiamata che si rinnova
Il terzo giorno abbiamo lasciato le zone desertiche e montuose della Giudea, alla volta della verde e fertile Galilea. Raggiungere Cafarnao e il mare di Tiberiade è stata un’esperienza esaltante e ricca di emozioni. Vedendo le onde del lago leggermente increspate mi ha fatto ritornare alla mente il brano evangelico della “Tempesta sedata”, pensando un po’ a quanto provato dai discepoli in quel momento. Finalmente quel luogo tanto caro al mio cammino di fede ha assunto un volto, un volto che diventa chiamata, discepolato e fedeltà. Poco distante dal punto nel quale abbiamo celebrato, vi è un altro luogo di memoria, quello in cui Gesù appare sulle rive del lago dopo la resurrezione e rinnova la sua chiamata a Pietro. Calpestare quella terra, passare da quella riva e sentire il rumore delle onde, permette proprio di tornare indietro di duemila anni, cercando di percepire quei sentimenti provati da Pietro durante quell’incontro. Sembra quasi che quel lago con il rumore delle suo onde voglia riportare alla luce quel dialogo tra Gesù e Pietro.
Nazareth: dove tutto ha avuto inizio
Il pomeriggio abbiamo lasciato Cafarnao, per raggiungere Nazareth, dove ci attendevano nuovi volti, nuovi incontri e nuove emozioni. Come non ammirare la bellezza del posto, terra povera e provata, ma che racchiude in sé il grande mistero dell’annuncio di Dio. Infatti, entrando nella Basilica dell’Annunciazione, nella parte inferiore è possibile notare questa piccola grotta, dove la tradizione vuole che sia avvenuto l’annuncio dell’arcangelo Gabriele a Maria. Anche qui abbiamo fatto memoria di questo evento così importante, celebrando la liturgia dell’Annunciazione nella basilica superiore. Ma ciò che ha colpito di più è la visita della tomba “del giusto”, sotto le fondamenta dell’attuale casa delle suore di Nazareth. Qui abbiamo potuto ammirare i resti di questa piccola casa e poco distante, al piano inferiore, delle camere funerarie, lasciando supporre che forse in questo luogo ha trovato riposo il corpo di San Giuseppe. Questo perché, chi vendette il terreno alle suore nel 1800 era consapevole, pur non ricordando il punto esatto, che su quel terreno vi era la tomba di un uomo chiamato il “Giusto”.
Mercoledì è il tempo di salire sul Monte Tabor, dove Gesù rese partecipi Pietro, Giacomo e Giovanni di quella relazione intima tra Egli e il Padre. Certo, non abbiamo sperimentato la loro fatica nel salire il monte, ma quell’incedere sotto il sole che accecava i nostri occhi, mi ha fatto riflettere su quanto debba essere stato sorprendente vedere Gesù splendente di questa luce divina e chissà quali pensieri abbiano attraversato le loro menti mentre scendevano dal monte.
Gerusalemme: tempo di sintesi e di nuovi inizi
Ma i giorni più suggestivi sono stati gli ultimi due, quando siamo stati a Gerusalemme: città contesa e piena di tante contraddizioni, una città che invece di unire diventa motivo di separazione. Separazione che non riguarda soltanto le relazioni tra musulmani, ebrei e cristiani, ma anche tra cristiani stessi. Simbolo di questa divisione è proprio la basilica del Santo Sepolcro. Entrando nella basilica si nota, posata a terra, una grande lastra di pietra, la cosiddetta “Pietra dell’unzione”, dove la tradizione vuole che sia stato posato il corpo di Gesù per l’unzione. E’ stato molto suggestivo percepire tutta la fede che si respira in questo posto, vedere tanti uomini e donne inginocchiarsi davanti a questa pietra e poggiare sopra di essa oggetti personali, come per farli impregnare oltre che dal profumo del nardo, di quel sostegno e di quella forza divina che viene da Cristo. Proprio come l’emorroissa quando toccò il lembo del mantello di Gesù. Accanto a questa pietra si trovano due scale che conducono al cosiddetto monte Calvario; ecco che giunto al piano superiore il primo aspetto che si nota è la divisione con la presenza di due spazi liturgici ben divisi: quello sotto la custodia della Chiesa greco – ortodossa e quello sotto la custodia cattolica. Entrando nella cappella ortodossa, si nota una stella sotto l’altare dove è possibile venerare il luogo in cui Gesù è stato crocifisso, toccando la pietra originale, presente al di sotto del pavimento. Infine, scendendo mi sono diretto verso l’edicola del Santo Sepolcro, dove in base allo status quo hanno diritto di accesso le Chiese ortodossa, armena e cattolica. Varcando l’entrata di questa edicola, si entra in una prima stanza dove è ben visibile un grosso frammento della pietra che chiudeva il sepolcro di Gesù. Superata la prima stanzetta, si entra nella seconda dove si può sostare qualche minuto in preghiera davanti alla tomba di Gesù. Purtroppo solo qualche minuto, prima che il prete ortodosso, battendo con la mano sull’arcata della porta, non ti inviti ad uscire.
Il valore della diplomazia in una terra di conflitti
Molto interessante, alla vigilia della partenza, è stato l’incontro con don Natale Albino, segretario della Nunziatura Apostolica di Israele, Gerusalemme, Palestina e Cipro. Don Natale, dopo aver effettuato un breve excursus storico sulla situazione tra Israele e Palestina, ha chiarito quale sia l’attuale assetto geopolitico e diplomatico tra lo Stato di Palestina e lo Stato di Israele, mettendo in risalto lo stallo dei lavori nel processo di pace, che resta tuttora difficile e impegnativo. Infine, prima di aprirsi alle nostre domande, il segretario della Nunziatura, ci ha prospettato la linea diplomatica della Santa Sede nella risoluzione del conflitto israeliano – palestinese, in particolare sui territori contesi da entrambe le parti.
Ricordo e gratitudine
A conclusione del nostro pellegrinaggio è stato possibile vivere un’esperienza a dir poco unica e cioè quella di sostare per qualche ora nella basilica del santo sepolcro a porte chiuse. Sono state due, tre ore molto belle; durante le quali ho veramente gustato quei luoghi, rimanendo in silenzio, leggendo il vangelo della passione e meditando con lo sguardo rivolto al luogo della crocifissione. Tornando in Italia, i sentimenti che ho provato sono stati quelli di grande gratitudine per tutti coloro che ci hanno permesso di visitare e vivere questi posti meravigliosi.
Amleto Provenzano
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