Un «jamal» per abbattere muri di divisione
di Michele Azzolino
Raccontare, per me, ha quella sfumatura di rivivere. L’esperienza della Terra Santa porta con sé uno zaino immenso che posso far vivere solo attraverso uno dei miei disegni. Questo è improvvisamente balzato fuori quando son tornato a rovistare in esso, tra le due settimane di servizio a Gerusalemme. Qui ho avuto la grazia di scorgere la bellezza in donne, le Suore Comboniane, che si sforzano di far germogliare convivenza tra culture diversissime. E lo fanno proprio abitando al ridosso del Muro di Separazione! La mia esperienza tra i beduini confinati nel Deserto di Giuda ha un nome: Ali. Ali è un ragazzino di una decina di anni. Pelle e capelli scuri. Occhi neri e furbi. È il più grande dei piccoli ometti ai quali devo allietare le mattinate con qualche gioco. Ali è quello a cui tutti danno ascolto. È lui a dettar legge nel gruppo ed io, tra di loro, il malcapitato che parla straniero. Non nego la difficoltà iniziale nell’entrare in un clima, non solo atmosferico, ma anche di pensiero, molto diverso dal mio. Non nego la difficoltà ad immergermi pienamente in un’avventura, che, seppur desiderata da tempo, avrei voluto fuggire il prima possibile. Non nego le mie iniziali resistenze a lasciarmi libero in un posto in cui ogni cosa mi diceva tensione, conflitto e violenza. Questi, tutti muri che son venuti giù quando con la mia matita ho disegnato per Ali un piccolo cammello. Un «jamal», per dirla all’araba. Si sono illuminati gli occhi ad Ali! Ha preso anche lui il pennarello e immediatamente è corso a disegnare in groppa all’animale due omini. «Me and you on jamal!» – ha aggiunto – «me e te sul cammello»: inevitabilmente il cuore si è sciolto. Più nulla diceva distanza tra me e quella terra dura. Quel cammello è diventato segno di quanta difficoltà è racchiusa nell’accettare le differenze. Quanta altra vi è nel saper condividere completamente se stessi. Quel cammello è divenuto segno di come solo dove c’è piena povertà, libertà da qualsiasi attaccamento, può esserci totale affidamento. Quel cammello è stato il segno di com’è semplice rendersi trampolino per abbattere muri di divisione, che non permettono la vita. Segno di come basta davvero poco per aiutare a sognare. E cosa è poi un disegno se non un sogno che prende vita? Ho avuto la grazia di tirare con me in questa avventura Domingo. Se a lui doveste chiedergli della Terra Santa, vi parlerà di Adnan. O di come lo amavano chiamare le volontarie spagnole: «El Pancho».