Il celibato dei preti; perché sceglierlo ancora? È un libro pubblicato dalle Paoline nel 2008 e scritto da Stefano Guarinelli, presbitero della diocesi di Milano.
L’autore parlando del celibato ci aiuta a riflettere su questo dono dal punto di vista umano e spirituale. Egli ci fa notare come, nella società, sia opinione diffusa che la persona umana coincida con il buon funzionamento dei suoi processi fisici e psichici, identificando, in ciò, il bene. Questo modo di pensare non è del tutto negativo, ma costituisce un guadagno importante e una sfida per molti aspetti della vita cristiana, fra i quali il celibato e ci libera da un ascetismo disincarnato che vede il corpo come un ingombro inutile. Bisogna partire da una consapevolezza: considerare il celibato una mancanza che non toglie nulla alla pienezza della persona.
L’autore del saggio, liberando il lettore da un approccio ingenuo alla sessualità, riparte dai ventuno bisogni fondamentali dell’uomo elencati nella scala di Murray e dice: «ciò che chiamiamo sessualità risulta dalla configurazione originale che in una persona specifica è assunta da quei ventuno bisogni fondamentali». Non può esistere – ovviamente – uno stato di vita che realizzi tutti i bisogni dell’uomo, per questo ogni essere umano nel suo stato è chiamato a raggiungere un equilibrio che ne realizzi il maggior numero possibile. Per fare ciò, soprattutto per un celibe o per chi si prepara a vivere questo dono, è importante conoscersi e lasciarsi conoscere. «L’obiettivo di questa conoscenza non è quello di scovare i disturbi, prima che questi saltino fuori e facciano pasticci. È soprattutto quello di allargare spazi di Vangelo». Ciò spinge ad una domanda: come può una fragilità entrare a far parte di una scelta vocazionale? Siamo chiamati ad amare con tutto noi stessi in un modo creativo, proprio di ogni persona, nella logica del dono, sintesi di ogni vocazione cristiana. Chi è sposato, ovviamente, ha la garanzia di un miglior funzionamento psicofisico perché nel repertorio dei bisogni, che costituiscono il microsistema della sessualità, ha più possibilità di mettersi in gioco rispetto ad un celibe e ciò potrebbe rischiare di far rimanere il celibe in uno stadio di immaturità. Questa immaturità, però, può divenire una grande risorsa che dà la possibilità di rimanere in una posizione ingenua, simile quasi allo stato infantile di cui parla il Vangelo invitando a diventare come bambini (cfr. Mt 18,3).
«Il celibe in quanto “immaturo”, nel senso detto, vive di domande aperte che gli consentono di “giocare” (e di giocarsi) agli stessi stadi di sviluppo delle persone che incontra e che gli sono affidate». C’è un paradosso in cui restare che «è la forza di quella pretesa, di quella passione per la persona umana che sembra fondare, nella castità, la scelta di Cristo di non fare ciò che per tutti sarebbe stato pacifico: avere una moglie propria».