Rusconi
Racconti di un pellegrino Russo è un testo che raccoglie le anonime relazioni di un pellegrino russo del XIX secolo al suo Padre spirituale; oggi è uno dei libri più stampati e conosciuti della spiritualità russa. In queste relazioni possiamo scorgere il volto di un uomo, di un cristiano, egli si definisce gran peccatore, un pellegrino che ha come ricchezza un po’ di pane secco e la Sacra Bibbia. Un uomo che avendo perso la sua famiglia in modo tragico ha dato una svolta alla sua vita mettendosi alla ricerca del suo senso e si è consacrato alla vita ascetica ed al pellegrinaggio, una di quelle figure molto apprezzate nella Russia di quel tempo che raccontano il tessuto di una religiosità popolare molto viva.
Questo testo può riassumersi in due parole chiave: cammino e preghiera. Dice il pellegrino: «La ventiquattresima domenica dopo la festa della Santissima Trinità sono entrato in una chiesa per pregare durante la liturgia; si leggeva l’Epistola di San Paolo ai Tessalonicesi, in quel passo dove si dice: «Pregate incessantemente». Da quel momento l’uomo si mette in una spasmodica ricerca del senso di quelle parole, chiedendo spiegazioni a chiunque incontrasse sul suo cammino e accogliendo ogni insegnamento, non trovando risposte adeguate alla sua sete di verità. Il cammino lo porta ad incrociare provvidenzialmente un anziano starec che, mettendosi accanto come Gesù ai discepoli di Emmaus, svela a quest’uomo affaticato da una sete ardente «il senso delle scritture» (cf. Lc 24, 13-34). Come stella cometa per il suo viaggio lo starec affida a quest’uomo due strumenti: la continua preghiera interiore di Gesù e la Filocalia che «contiene la scienza completa e particolareggiata della preghiera interiore, esposta da venticinque Santi Padri». Il pellegrino è invitato a recitare la preghiera continua di Gesù, sintesi del Vangelo, attraverso «l’invocazione continua e ininterrotta del divino nome di Gesù con le labbra, con il cuore e con la mente nella certezza della sua costante presenza in ogni luogo, in ogni tempo, anche durante il sonno… Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me».
Nel cammino di quest’uomo si possono scorgere i tratti di una vita abbandonata in Dio che, attraverso l’illuminazione della continua preghiera, riesce a discernere ciò che non appartiene a Dio e ciò che è segno della Sua misericordiosa presenza. Questo testo, in una società in cui è importante sempre più l’impatto prestazionale sulle cose, ci insegna a riscoprire la nostra vita come dono di Dio più che come frutto delle nostre costruzioni. Una vita da cui si espande, come profumo, il segno di una relazione vissuta intimamente con Dio. Spesso anche in questa relazione intima e profonda col Signore siamo tentati di valutare la qualità e l’efficienza. Una relazione autentica, invece, si manifesta nell’amore fedele e costante anche nei momenti più difficili. Non esistono condizioni giuste per pregare, ogni momento della nostra vita può essere offerta che sale a Dio nella preghiera.
«Perciò offri a Dio quanto è nelle tue possibilità; inizialmente offrigli almeno, in sacrificio, la quantità della preghiera, questo ti è possibile e la forza Divina si riverserà allora a sostegno della tua debolezza».