Il razzismo sui social
Il progresso scientifico e tecnologico degli ultimi anni ha creato un “nuovo luogo” di incontro tra le persone, ma soprattutto tra i giovani.
Non esistono più solo le piazze o le ville ma si è aggiunto anche il mondo dei social. Esso è un’arma a doppio taglio: tutti abbiamo potuto usufruire dei benefici di questo “nuovo luogo” che ci ha permesso di rimanere in contatto in un momento storico nel quale ci sono state limitazioni nelle relazioni; al contempo, però, non possiamo non menzionarne i punti deboli. Uno di questi punti deboli, anzi oserei dire un vero e proprio problema, è quello del razzismo, piaga sociale che nel mondo virtuale viene amplificata ancora di più.
Ciò che prima veniva affermato davanti ad una piccola cerchia di persone in una piazza o in un bar, e quindi solitamente subito messo a tacere, ora invece viene pubblicato sui social, con interazioni (e consensi) che si espandono a macchia d’olio.
Lo schermo inoltre, sia esso del computer o dello smartphone, sta diventando sempre più lo strumento attraverso cui scegliere di essere chi si vuole, di DIRE ciò che si vuole, perché nessuno può frenare, nessuno può limitare, nessuno può mettere a tacere. Se prima si affrontavano alcuni temi (politica, sport, religione…) con persone dello stesso contesto particolare, ora si può trovare nella home di Facebook o di Instagram pagine (alcune volte di etica discutibile) in cui poter condividere facilmente il proprio punto di vista.
Affidarsi al buon senso di ciascuno circa la libertà di espressione forse è cosa ben poca rispetto a quanto in realtà accade sui social soprattutto nei confronti del “diverso” producendo, sulle persone che subiscono questi gesti, conseguenze psicologiche sempre più gravi. Sono tantissimi infatti i ragazzi e ragazze, uomini e donne che sono dovuti ricorrere a cure e terapie perché caduti in depressione. I più deboli, invece, si sono “rifugiati” nella soluzione più tragica, il suicidio.
Questo fenomeno, allora, deve interrogarci sulla nostra responsabilità nel mondo di partecipare a questo “nuovo luogo”, evitando di contribuire ad ogni forma di discriminazione e cercando di promuovere l’attenzione alla persona. Si potrà dire che è un luogo positivo se si cercherà di crescere sempre più nell’utilizzo sano e fruttuoso di strumento. Tutto è possibilità, ma solo se ognuno di lo sceglie!
Davide Destino, IV anno
Arcidiocesi di Brindisi-Ostuni
Davide_destino@hotmail.it