In morte del vescovo monsignor Domenico Padovano
di don Donato Liuzzi [educatore]
La sera dell’ultimo 10 maggio, monsignor Domenico Padovano è entrato nella Pasqua, ha riconsegnato a Cristo Pastore la sua esistenza terrena e il suo ministero apostolico, vissuto per molti anni (1987-2016) a servizio della diocesi di Conversano-Monopoli.
Del vescovo Domenico non sfuggiva ad alcuno il fascino della imponenza ricolma al contempo di timidezza e sfrontatezza, il timbro caldo della voce, la gestualità pacata e decisa. Per conoscerne a fondo il pensiero, bisognava essere attenti alla comunicazione non verbale che costituiva un proprium originale e, in definitiva, simpatico; le sue parole sembravano ispirate alla concinnitas, slogan mirati, semplici ed eleganti («Se i preti sono gli occhi del vescovo, voi seminaristi siete le pupille»; «Il seminario non è la fabbrica dei preti»; «Il Concilio? Papa Giovanni ha aperto le finestre, ci ha dato aria nuova, e Papa Paolo ha preso la corrente!»).
Il vescovo Domenico è stato un educatore, un esteta della vita, un sottile confutatore di proposte che falsificano la vita cristiana. Quando nel progetto pastorale diocesano Urgenza dell’ora. Educare (2011) ci ha proposto di considerare Dio come primo alleato dei processi educativi, ci ha tratteggiato un metodo che era il suo programma: «È nel suo stile [di Dio] educare senza rigidità, con pazienza, progressività. Lui non educa astrattamente, con principi calati dall’alto, a colpi di parole. Dio educa con interventi sul campo, servendosi di ciò che accade nella storia. È antieducativo fuggire il concreto. Perché si educa alla vita con la vita».
Ci ha insegnato l’arte del viaggiare, dell’aprire gli orizzonti, del nutrire affetto fraterno. Quando l’ho incontrato per l’ultima volta nella sua casa, aveva una postura piena di dignità e con schiettezza mi ha comunicato che le valigie erano già pronte, che non aveva paura di morire, ma di soffrire. Poi, citando sant’Agostino, mi ha consegnato la radice segreta della sua vita, la fiducia in Dio, nella sua grazia: «Concedi ciò che comandi e comanda ciò che vuoi» (Conf., X): era un uomo vero, il vescovo Domenico, fino in fondo, ma – come direbbe Papa Francesco – senza quell’immanentismo antropocentrico dei nuovi gnostici e pelagiani, chiusi in enciclopedie di astrazioni e nella convinzione di essere superiori agli altri.