Articolo sulle suore missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta.
Chi conosce anche solo superficialmente Bari, sa bene che Via Capruzzi è tra le strade più trafficate e frenetiche della città. Nel cuore del capoluogo pugliese, nei pressi della stazione ferroviaria e della fermata dei bus, vicino a numerosi centri commerciali, tra palazzi e venditori ambulanti, le suore missionarie della Carità di Madre Teresa di Calcutta e numerosi volontari provenienti anche da molto lontano, offrono ogni giorno gratuitamente da mangiare ai più poveri. Il seminario ha inserito anche questa esperienza tra le proposte pastorali rivolte ai seminaristi del biennio che il sabato pomeriggio si recano lì per dare una mano, servire i più poveri, pregare con loro. “Ho sete” (Gv 19, 28). Quando si entra nella piccola cappella della struttura subito ci si accorge che questa frase è affissa accanto al crocefisso. Inserite in questo contesto si comprendono ancora di più le ultime parole di Gesù morente. Di che sete si può parlare? Innanzitutto una sete fisica e materiale. Molte delle persone che serviamo non hanno casa, dormono per strada tra i cartoni e l’immondizia, hanno così poco da litigare persino per un piccolo pezzo di pane, discutere perché il proprio amico ha ricevuto qualcosa di più. Quando non si ha nulla, spesso non si guarda chi si ha difronte, non si riesce a gioire per gli altri. Vi è poi una sete di riscatto e di giustizia. Le suore, infatti, cercano di conoscere i poveri, ascoltano le loro vite: sono storie complesse, fatte di sacrifici e delusioni, di speranze infrante e di dipendenze, di problemi di salute e di situazioni famigliari intricate. Spesso sono anche storie di rinascita, di resurrezione come quella di uno dei volontari che fino a non molto tempo fa guadagnava da vivere rubando, dipendeva dall’alcool e dalla droga, era tra gli ospiti che giornalmente andavano a mangiare; oggi spende la sua vita a servire gli altri, cucina e prepara le pietanze, dà più di quello che possiede. Infine c’è la sete di noi volontari, una sete di azione, di Vangelo vissuto. Stiamo sperimentando con le mani, ciò che spesso abbiamo solo sentito con gli orecchi. Non è semplice, è vero. Quando siamo chiamati alla dinamicità, al movimento, a fare il primo passo, a volte ci si blocca, si ha paura di sbagliare, non si sa cosa dire, come agire, si preferisce restare fermi, immobili ad osservare. La sfida del Vangelo è più arguta, chiede di buttarsi, di sporcarsi le mani, di toccare la terra. La nostra fede sarebbe vana se non si attuasse nella vita di ogni giorno, se non si esplicitasse nel donarsi, se non si facesse concretezza. A volte se solo per un attimo ci ricordassimo che dietro quel povero c’è Cristo, forse tutto acquisterebbe un nuovo sguardo, una nuova forma, una nuova essenza.
Giuseppe Urso, I anno