Nell’ambito degli incontri di approfondimento della traccia formativa, intitolata quest’anno Mens concordet voci, siamo stati arricchiti dal puntuale e frizzante contributo di don Giovanni Frausini, docente di teologia sacramentaria presso l’Istituto teologico Marchigiano.
Sono tre i punti della sua relazione che vorrei sottolineare.
Innanzitutto il perpetuarsi della storia della salvezza che l’uomo è chiamato ad abitare: un unico Mistero che trae le sue origini dalla libera e volontaria creazione da parte del Dio uni-trino, si dipana esemplarmente nelle vicende del popolo d’Israele, trova il suo compimento nell’incarnazione di Cristo, venuto a riportare al Padre l’umanità perduta, e viene affidato indegnamente alla Chiesa. Ogni rito dunque è la parte visibile della stessa (travagliata) storia d’amore tra Dio e l’uomo, in cui ciascuno dei due ha diritto di parola, diversamente da un culto a un dio senza nome e volto o da un magico piegarsi del volere divino a quello umano.
In secondo luogo la liturgia non è una prerogativa di presbiteri e consacrati, sebbene a volte l’attuale svolgimento sembri suggerirci questo. Non c’è nessun luogo (come il santo dei santi per gli ebrei o il bema per gli ortodossi) né rito inaccessibile a ciascun battezzato che celebra congiuntamente a chi presiede la morte e risurrezione di Cristo.
Infine, l’importanza per tutti i ministri di essere mistagoghi, capaci cioè di condurre i fedeli dentro l’esperienza del Mistero. Non si tratta di usare un linguaggio logico ma è per ritus et preces che Dio si fa prossimo all’uomo e ogni eventuale spiegazione – penso in ambito catechetico e catecumenale – non prescinde dalla partecipazione all’azione liturgica.
Nella forma liturgica del dialogo con Dio, la mia libertà s’interroga se non compromettersi con Dio rinunciando a comprendere il dono gratuito della sua amicizia o rispondere «eccomi» e scrivere con Lui la storia dal posto che la Chiesa mi riserva.
La ricchezza della liturgia sta nella sua concomitante fragilità e solidità. Ogni gesto compiuto in modo superficiale, non rispettando i tempi, non tenendo conto dell’assemblea che celebra, perde un po’ di quel significato originario che tuttavia resta garantito dalla tradizione che porta con sé.
Marco Giordano, V anno